“Mai sottovalutare. La violenza non è soltanto quella fisica”

Valentina Pitzalis ricorda il 17 aprile 2011, giorno in cui il marito Manuel Piredda le diede fuoco per ucciderla.

“Hai presente quando accendi il camino con i tronchetti fini che senti lo scoppiettio della legna? Ecco io ricordo quel rumore, quello scoppiettio, dentro le mie orecchie quando il fuoco era arrivato in gola e il mio corpo andava a fuoco. Oltre al dolore disumano”. Così Valentina Pitzalis ricorda il 17 aprile 2011, giorno in cui il marito Manuel Piredda le diede fuoco per ucciderla nella sua casa di Bacu Abis, nel Sud Sardegna. Lei non morì, lui sì, carbonizzato nel rogo.

Come è stato il processo di elaborazione di un fatto così grave?
“All’inizio ho faticato tanto, adesso posso dire di aver superato la paura del fuoco. Ho consapevolezza che non è mio nemico”.

Sei rimasta cosciente tutto il tempo, anche nella corsa in ospedale, ma quando ti sei chiesta che fine avesse fatto lui?
“Io ricordo il carabiniere che mi ha soccorso che ha detto questa frase: ‘Qui c’è un cadavere e ci sei tu così’. Quindi io lì ho appreso che lui era morto. Certo, ho impiegato un po’ a convincermene perché lì ero vigile ma non lucida. Poi mi hanno messo in coma farmacologico e quando mi sono svegliata avevo le allucinazioni, continuavo a vederlo nel letto vicino a me, e non riuscivo a credere che fosse morto. I medici me lo ripetevano di continuo, ma io ne ho preso consapevolezza soltanto dopo settimane”.

Quando hai pensato di dover iniziare un processo di riabilitazione psicologica oltre che fisica?
“C’è voluto molto tempo. Io all’inizio scongiuravo i medici di uccidermi. Facevo loro una colpa del fatto che mi avessero salvata perché il dolore era veramente forte e le condizioni davvero critiche. Pensavo che fosse meglio morire”.

Era un dolore solo fisico o anche psicologico?
“Ovviamente erano entrambi. Subire quello che ho subito è stato devastante ed io l’ho superato solo perché la mia famiglia mi ha dato tanto di quell’amore che mi ha permesso di rimettermi in piedi e non solo fisicamente”.

Quando hai smesso di fare brutti pensieri?
“Ho impiegato tanto tempo, pensa che mentre ero a letto l’unico pensiero che avevo era: ‘Appena mi rimetto in piedi mi lancio dalla finestra’ poi soltanto dopo mesi, dopo che i medici mi hanno insegnato nuovamente a camminare, mi è tornata la voglia di vivere”.

Come è successo?
“è successo che ho iniziato a dire: ok, non mi ammazzo però non uscirò più di casa. Avevo paura dell’impatto che potevo aver sugli altri con il mio aspetto, soprattutto sui bambini”.

Come hai superato quella paura?
“Grazie a mia madre che mi ha messo davanti alla mia paura e mi ha aiutata a superarla. Era il giorno delle dimissioni. Mi è venuta a prendere in ospedale e tornando a casa si è fermata in un supermercato. Ha parcheggiato e mi ha detto: non ho niente a casa, devo fare per forza la spesa, tu cosa fai scendi o rimani qua? Ed io non volevo scendere ma non volevo neanche rimanere sola in macchina perché non ero in grado. Alla fine il male minore mi è sembrato andare con lei. In quel momento mi sono scontrata con la sensibilità ma soprattutto con la poca sensibilità delle persone. C’erano tanti sguardi di disgusto, di disprezzo ma anche di spavento da parte dei bambini. Ma la vita mi ha dato una seconda possibilità e non potevo vergognarmi di qualcosa di cui non avevo colpe”.

Adesso come è cambiata la tua vita?
“Siccome neanche il più bravo chirurgo estetico del mondo avrebbe potuto ridarmi il mio aspetto fisico io mi sono trovata davanti a un bivio: andare avanti o non andare avanti. Quindi ho detto se decido di andare avanti devo crederci davvero. Io non solo ero sfigurata ma anche invalida perché ho perso una mano. Allora ho dovuto tirare fuori tutta la mia forza ed ho deciso di dedicarmi alla diffusione di un messaggio importante: non sottovalutare i campanelli d’allarme. La violenza non è solo fisica ma anche psicologica. Per troppo tempo non ho capito che subivo violenze. Mio marito, prima che lo lasciassi, mi impediva anche di parlare con mia madre. Vivevo nel terrore. Questa è la mia storia e deve essere un insegnamento per le altre donne: mai sottovalutare. In questi giorni in particolare sono tra Roma e Milano per una serie di iniziative: la presentazione di una rappresentazione teatrale tratta dal mio libro. Ma anche la presentazione di un nuovo spazio d’ascolto e il lancio della prima experience al mondo contro la violenza sulle donne nel Metaverso, oltre all’incontro con 400 studenti delle scuole per ricordare che ogni giorno è la giornata contro la violenza sulle donne”.