Lo schieramento di mezzi e uomini era quello delle grandi occasioni ieri, già dalle prime ore del mattino davanti al Senato dove Giuseppe Conte si è recato puntuale per le comunicazioni e poi nel pomeriggio per le repliche e, ovviamente, per il voto clou. In Aula, il premier ricalca il discorso di lunedì alla Camera ma accentua l’appello ai “volenterosi” e la necessità di un governo solido, consapevole che “i numeri sono importanti e questo è un passaggio fondamentale”. I numeri, appunto: agitazione fuori e dentro al Palazzo ieri, la fibrillazione era palpabile fra i giornalisti in cerca di notizie e soprattutto fra i diretti interessati, quei senatori che negli scorsi giorni e fino all’ultimo minuto sono stati oggetto di pressing, lusinghe, promesse e offerte avanzate con ogni mezzo, dalle telefonate ai messaggi, dalle mail al più classico “prendiamoci un caffè che ti devo parlare”.
Avances arrivate all’indirizzo non solo di “color che son sospesi” nel limbo del Misto, ai senza patria e senza bandiera, agli ex tutto (cioè quelli che sono passati da destra sinistra e centro e viceversa), ai transfughi o agli scontenti ma persino ai fedelissimi dei leader dei rispettivi partiti: “Mi ha fatto larghe profferte che io declinai”, ci confessa una berlusconiana di ferro avvicinata dai pontieri appena varcata la porta dell’elegante palazzo nobiliare che ospita la camera alta. Fra le cui mura si sono consumati strappi, ripensamenti in extremis e scelte di responsabilità.
Come quella che ha contraddistinto la senatrice a vita Liliana Segre (nella foto) che a novant’anni ha preso il treno da Milano “sfidando” la pandemia pur di non far mancare il proprio sostegno alla maggioranza: proprio come la compianta Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina e senatrice a vita, scomparsa all’età di 103 anni che, ultranovantenne e claudicante, nel secondo governo Prodi con una maggioranza ai minimi termini, fu determinate per salvare l’esecutivo del centrosinistra spesso e volentieri.
Come del resto lo furono gli altri senatori a vita Andreotti, Ciampi e Scalfaro. Anche per questo si parlò di “governo dei pannoloni”, termine inappropriato oggi visto che il governo attuale è stato tenuto su anche da baldi giovani come Tommaso Cerno, che un anno fa aderì al Misto lasciando i dem e che ieri – fino al giorno prima però aveva sostenuto il contrario – ha votato sì alla fiducia ed è pure tornato all’ovile Pd. In ogni caso per tutto il pomeriggio “si sono dati i numeri”: 154, 157, 158? la certezza non c’è stata fino all’ultima chiamata nominale. Un’importante esponente del governo in quota dem ci ha confessato, verso ora di pranzo, che avrebbe messo la firma su 155, un pentastellato si diceva sicuro che la quota 160 in serata sarebbe stata raggiunta.
E poi gossip e veleni, che in questi frangenti non mancano mai e che ieri si sono scatenati soprattutto contro Renata Polverini, la ex pasionaria di destra (sui social stanno impazzando decine di foto che la ritraggono mentre fa il saluto romano) che lunedì ha mollato il suo partito – Forza Italia – per votare la fiducia a Conte in Aula a Montecitorio. Gossip in cui si tira in ballo una presunta e ovviamente smentita da entrambe le parti, liaison fra la ex governatrice della Regione Lazio ed un ex luogotenente renziano rimasto nel Pd.
E poi la querelle Renzi-Casalino con il primo accusato di aver bloccato il portavoce del premier su whatsApp, un po’ come si fa con gli ex amanti quando ci si lascia male. A proposito del leader di Italia Viva, nel suo intervento in Aula il leit motiv è stato quello “dell’ora o mai più”, ripetuto più volte: “Sono mesi che le chiediamo una svolta. La comunicazione per cui ‘questo non è il momento per aprire una crisi’ è passata. Ma noi pensiamo all’opposto che questo è un kairos, un momento opportuno, ora o mai più. Ora ci giochiamo il futuro, non tra sei mesi”, afferma rivolgendosi al presidente del Consiglio, ma pur rinfacciandogli l’alleanza con Matteo Salvini e il suo accingersi al formare la terza maggioranza in due anni, tutto sommato l’intervento non è duro o sarcastico, o quantomeno non parla come se fosse già all’opposizione anche perché da lì arrivano le bordate vere.
Il leghista Gian Marco Centinaio, con un un pupazzetto della Playmobil (che colleziona) in mano tuona: “Avvocato Conte, lei è come l’omino Playmobil, che potevi trasformare come volevi, in tanti personaggi. Lei è un premier per tutte le stagioni, vada a casa!’’. Richiesta di dimissioni ovviamente ribadita anche dal leader del Carroccio con i toni che da sempre lo contraddistinguono.