Intercettazioni, interrogatori e verbali che proverebbero l’esistenza di un’associazione a delinquere messa in piedi dall’imprenditore Luca Parnasi. È quanto emerge dagli atti dell’inchiesta sullo Stadio della Roma, giunta a conclusione martedì, che rischia di portare a giudizio il costruttore romano e altre 19 persone. L’indagine del procuratore aggiunto Paolo Ielo e del pubblico ministero Barbara Zuin ha permesso di ricostruire un diffuso sistema corruttivo, come si legge all’interno dell’ultima informativa dei Carabinieri, anche grazie alla collaborazione dell’imprenditore che, nel corso di numerose audizioni davanti ai magistrati, ne ha svelato ogni segreto. È proprio lui che nel faccia a faccia del 14 luglio 2018, tenuto davanti ai pm, ha raccontato la struttura del proprio gruppo. “Nella società Eurnova, io ero Amministratore Delegato ed ero al vertice della società occupandomi in prima persona della assunzione delle decisioni che ne riguardavano l’operare”. Al suo fianco i fidatissimi “Luca Caporilli che era responsabile dell’urbanistica ed aveva piena autonomia funzionale ed anche, in parte economica, ma ero sempre io a prendere le decisioni. Del pari, anche se in forma leggermente più limitata, godeva di una spiccata autonomia anche Contasta, il quale si occupava dei rapporti con gli Americani, operando quale Asset Manager della società”. Oltre ai due stretti collaboratori, l’uomo si avvaleva anche di “Zaffiri, Talone e Mangosi che non godevano di alcuna autonomia ma facevano solo quanto io richiedevo loro” e di “mio cugino Mangosi Giulio che lavora con me anche in virtù del nostro rapporto di parentela ed ultimamente si occupava della comunicazione di Eurnova e del patrimonio immobiliare di Parsitalia”. Un nucleo di persone che l’imprenditore, autodefinitosi dominus dell’organizzazione, non allontanava mai da sé. Anzi Parnasi li teneva in grande considerazione al punto da rivelare loro anche inconfessabili segreti come il fatto che “non facevo mistero con nessuno dei miei collaboratori della scelta di finanziare sia in maniera lecita che illecita diversi partiti”.
ADRIANO PALOZZI – Dopo l’avvio dell’indagine e gli arresti, nonostante le prime audizioni ritenute deludenti dai pm, Parnasi inizia a raccontare la propria versione dei fatti. Un vero e proprio romanzo a puntate in cui, uno alla volta, vengono affrontate le singole contestazioni in materia di corruzione. Ben tre gli interrogatori in cui l’uomo affronta il tema del proprio rapporto con Adriano Palozzi, Consigliere della Regione Lazio in quota centrodestra. Secondo quanto affermato dal costruttore romano, i due si sarebbero conosciuti quando il politico rivestiva il ruolo di sindaco del Comune di Marino dove l’uomo aveva alcuni progetti da portare a termine. Un rapporto consolidato nel tempo tanto che, spiega Parnasi, “lo avevo sostenuto nella precedente campagna elettorale , almeno 6 anni addietro, erogando in suo favore se non ricordo male 10.000 euro. Si trattava di una erogazione regolare, con delibera ed iscrizione in bilancio da parte di una società del gruppo”. Ma il politico, sempre secondo il costruttore, chiedeva sempre di più e infatti: “Mi chiamava continuamente chiedendomi un contributo ed abbiamo concordato il contratto con la Pixie (società riconducibile a Palozzi), al fine di giustificare la dazione della somma di denaro. Non avevo bisogno di quel contratto né di quei servizi. Tuttavia non volevo fare figurare il mio nome accanto a quello di Palozzi proprio perché stavo tentando di costruire un rapporto con i cinque stelle”. Incalzato dagli inquirenti sulle motivazioni che lo spinsero ad acconsentire alle nuove richieste, l’uomo dava una spiegazione che in fin dei conti sembra riassumere il cosiddetto sistema Parnasi: “In realtà non avevo alcun interesse alle funzioni di Palozzi e ho erogato tale somma di denaro solo per evitare di avere problemi con lui che continuava a richiedermi dette somme” ma in fin dei conti “acquisivo anche la disponibilità della sua funzione ove essa si fosse resa necessaria per il perseguimento degli interessi miei e del mio gruppo”.
PIER MICHELE CIVITA – Nella cerchia di politici con cui Parnasi aveva rapporti di “stima”, come da lui riferito, c’era anche l’attuale consigliere del partito democratico Michele Civita. “È una persona che stimo molto e che ha sempre fatto gli interessi dell’amministrazione” riferiva l’imprenditore nell’interrogatorio del 27 giugno 2018 e la loro conoscenza risaliva a “circa 20 anni fa”. Due amici che, sempre secondo lui, un giorno si trovano ad affrontare una spinosa questione. I fatti risalgono a quando “la conferenza di servizi (per lo Stadio della Roma) era già chiusa e già c’erano state le elezioni” e Civita “con estremo imbarazzo mi ha chiesto di trovare un lavoro per suo figlio”. Una richiesta tra amici e a cui acconsente anche perché “mettendomi nei suoi panni come padre gli ho voluto fare un favore”. Una spiegazione che non convinceva i magistrati i quali poi chiedevano conto sulla natura della conoscenza tra i due, anche in relazione al progetto Stadio che, da sempre, tormentava l’imprenditore. “Civita ha operato sempre nell’interesse della Regione. Io l’ho sostenuto con il voto, a lui dato anche da parte dei miei familiari” del resto “politicamente la Regione e di conseguenza Civita erano favorevoli alla realizzazione dello Stadio. Era il nostro punto di riferimento nella conferenza di servizi ed a lui mi rivolgevo per la soluzione di eventuali problemi”. Incalzato dai pm sulle motivazioni di questa propensione alla realizzazione dell’impianto da parte del politico, l’imprenditore ha risposto: “Non sono in grado di dire se il suo atteggiamento di disponibilità fosse finalizzato ad avanzarmi in seguito la richiesta di assunzione del figlio. Ma per la conoscenza che ho di Civita credo che non sia così”, in ogni caso “ho fatto la promessa di assunzione del figlio perché a lui legato da rapporti personali e, comunque, nella consapevolezza del suo ruolo pubblico”.
DAVIDE BORDONI – Per non scontentare nessuno, Parnasi aveva instaurato stretti rapporti anche con il Consigliere Comunale Davide Bordoni, in quota Forza Italia. L’uomo, candidato alla Camera dei Deputati nella tornata elettorale del 4 marzo scorso, veniva foraggiato dal costruttore romano come da lui stesso raccontato ai magistrati in due interrogatori, quello del 27 giugno e quello del 14 luglio. Nella prima occasione Parnasi, incalzato sui pagamenti che avrebbe fornito al politico, rivelava: “Si, ho consegnato a Bordoni una somma tra 2500 e 5000 euro in contanti e ci saremmo dovuti incontrare di nuovo ma non lo abbiamo più fatto. Non ho più sentito Bordoni con riferimento a questa circostanza”. Nel secondo appuntamento chiariva ulteriormente la dazione di denaro e i loro rapporti pregressi: “Preciso che in passato ho finanziato moltissime delle sua campagne elettorali in maniera ufficiale. In un’occasione l’ho fatto in maniera ufficiosa, brevi manu, dandogli 5000 euro perché non volevo che emergesse la mia vicinanza a lui. Il periodo era quello delle elezioni municipali ad Ostia ed io avevo un rapporto molto buono con Ferrara e non volevo che emergesse la mia vicinanza a Bordoni. Facendo l’imprenditore ed essendo in quel momento vicino ai 5 stelle, cercavo di non apparire vicino anche alle altre forze politiche”.
PAOLO FERRARA – Proprio verso l’impenetrabile M5S, in particolare a seguito della loro conquista del Campidoglio, l’interesse di Parnasi non poteva che rivolgersi anche a loro. Grazie ad alcune conoscenze comuni, riusciva ad entrare in contatto con Paolo Ferrara consigliere comunale e capogruppo capitolino del Movimento 5 Stelle, già autosospesosi per effetto dell’inchiesta che lo ha coinvolto. Indagine, quella che lo riguarda, che è stata stralciata ed è tutt’ora in corso nella Procura di Roma. Secondo il racconto di Parnasi: “quando presentammo i vari progetti dello stadio in Campidoglio, era un esponente di spicco della maggioranza capitolina”. Tra loro ben presto i contatti decollano e si inizia a parlare di un progetto a Ostia che, spiega il costruttore romano, non gli “costò nulla perché realizzato con le nostre strutture”. Ancora una volta il suo aiuto era stato fornito a Ferrara in cambio “della sua capacità di influire sull’iter amministrativo inerente al progetto Stadio e sui progetti futuri che avevo in animo di realizzare”.
LUCA LANZALONE – Nel gruppo di lavoro di Parnasi, figurava anche l’avvocato Luca Lanzalone. Quest’ultimo, ritenuto dai Pm un “consulente di fatto” per la giunta Raggi e successivamente nominato presidente di Acea (carica da cui si è dimesso a seguito dell’inchiesta che lo ha travolto), agli occhi del costruttore doveva sembrare un vero e proprio cavallo di Troia. L’uomo giusto per arrivare a dialogare con l’intransigente amministrazione comunale. Lo rivela lo stesso Parnasi nell’interrogatorio del 27 giugno quando racconta: “Ho conosciuto Lanzalone nel Gennaio 2017 in una riunione negli uffici del Piano Regolatore. Era una riunione tecnica, poiché vivevamo in una fase di stallo atteso che l’amministrazione Raggi aveva una posizione particolare, poiché non sembrava del tutto contraria all’approvazione del progetto Stadio, ma sembrava non volere portare avanti quello approvato dalla precedente amministrazione”. Fu lui, ricorda il Parnasi, che “capendo l’interesse della città per lo Stadio, aiutò il Comune a trovare un accordo per la riduzione delle cubature”. Un ruolo decisionale e non di semplice tecnico che vide l’avvocato “intervenire in tutte le fasi e con tutte le persone coinvolte” per via “dell’autorevolezza di cui godeva” in quanto “incaricato dal Comune per consentire il raggiungimento di un accordo per la realizzazione dello Stadio della Roma”. Del resto che Lanzalone fosse nelle grazie della sindaca, emergerebbe anche dallo scambio di battute in cui l’avvocato, dopo aver proposto il curriculum di una persona fidata a Virginia Raggi, si lascia andare ad una battuta: “praticamente mi fai da segretaria, che onore!”