Meloni commemora Borsellino, ma il suo governo piccona la giustizia pure nella lotta contro la mafia

Il governo Meloni piccona la giustizia anche nella lotta contro la mafia, mentre la premier Meloni commemora Borsellino.

Meloni commemora Borsellino, ma il suo governo piccona la giustizia pure nella lotta contro la mafia

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Difficile trovare un motto popolare che più di questo descriva la distanza tra i proclami del governo di Giorgia Meloni che continua a ripetere che la lotta alla criminalità organizzata è la stella polare in materia di Giustizia, con quest’ultima che sarà resa più ‘giusta e celere’, e la realtà impietosa che traspare dalle norme in via d’approvazione e dalle dichiarazioni pubbliche rilasciate da tanti protagonisti della maggioranza che sembrano contraddire tali propositi.

Sebbene il ministro Carlo Nordio e l’intera maggioranza da tempo continuano a negare passi indietro in fatto di lotta alla corruzione, un fenomeno spesso e volentieri legato al crimine organizzato che la sfrutta per accaparrarsi lucrosi appalti, la sensazione è che le cose non stiano proprio così.

Lotta alle mazzette: non è una priorità
In primo luogo si è già registrato, con il decreto-legge n.162 del 2022, quello che appare un vistoso passo indietro nel contrasto a questo odioso fenomeno, con i delitti contro la pubblica amministrazione che sono stati esclusi dal novero dei reati ostativi alla concessione dei benefici penitenziari. Non va meglio neanche guardando al decreto-legge n.105 del 2023 che esclude l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni sviluppate in altri procedimenti quando riguardano proprio i delitti di corruzione.

Ordinanze cautelari: silenziati i giornalisti
Particolarmente allarmante risulta la battaglia che governo e maggioranza stanno portando avanti in materia di intercettazioni che, di fatto, impedirà ai cittadini di conoscere la realtà del Paese che li circonda. Sul punto il guardasigilli ha spiegato in Parlamento che “non saranno mai toccate” le captazioni “che riguardano la criminalità organizzata, il terrorismo e i reati di allarme sociale” salvo poi aggiungere che, malgrado ciò, “è necessaria una razionalizzazione della spesa” per effettuare le intercettazioni.

In che modo si possa imporre un ‘tetto’ ai fondi per le captazioni che salvaguardi quelle di mafia, al momento appare un mistero a cui sicuramente saprà dare risposta il ministro. Ma che le intercettazioni non piacciano a questa maggioranza è cosa nota e lo stesso Nordio non ha mai nascosto un malcelato fastidio.

Soltanto due giorni fa, parlando a Palazzo Madama, il guardasigilli ha spiegato – ripetendo una frase già pronunciata in passato e che ha causato infinite polemiche – che “se come è accaduto fino a ieri, un pm sequestrasse un cellulare, sequestrerebbe una vita. Ma voi credete che la mafia parli col telefonino se deve fare un attentato?”.

Insomma l’assunto è che boss e sodali utilizzino altri metodi. Peccato che questa sia nulla più che una teoria, per giunta smentita dai fatti e dai magistrati che si occupano di criminalità organizzata. Soltanto per ricordare l’ultimo episodio, ossia in occasione della cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro, il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, aveva detto che “senza intercettazioni non si possono fare le indagini di mafia” e che queste sono risultate determinanti per mettere fine alla trentennale latitanza dell’ex primula rossa.

Come se non bastasse, la prossima riforma prevede di rimettere alla valutazione della Polizia giudiziaria delegata all’ascolto, la rilevanza e la trascrizione dei contenuti delle conversazioni. Si tratta di un preoccupante inedito perché al momento è il pubblico ministero a valutare se un dialogo è rilevante o meno ai fini dell’indagine.

Bavagli alla stampa: la politica ringrazia
Quel che è certo è che la riforma Nordio si occuperà anche di pubblicabilità delle intercettazioni e delle ordinanze di custodia cautelare, disponendo una serie di paletti molto restrittivi per quanto riguarda la loro divulgazione sui media in nome della presunzione di innocenza e del garantismo.

Sostanzialmente non potranno più essere pubblicati “integralmente o per estratto”, i contenuti delle ordinanze di custodia cautelare fino al termine dell’udienza preliminare. Le uniche informazioni sull’attività della magistratura, come già disposto dalla riforma Cartabia, potranno essere comunicate del procuratore capo della procura di turno, stando anche ben attento ai termini da usare, ma che, come noto, spesso non fornisce particolari sulle motivazioni dell’adozione di una misura cautelare.

Sarà del tutto vietata la pubblicazione delle intercettazioni che riguardano terze persone non indagate, come stabilito dalla commissione Giustizia del Senato, di cui non potranno essere trascritti neanche i dati che potrebbero comportare una loro individuazione. Queste, infatti, dovranno essere stralciate a meno che non siano rilevanti ai fini dell’indagine.

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratti di norme atte a tutelare i non indagati ma i magistrati fanno notare che mettere il silenziatore sulle ordinanze di custodia cautelare ostacola la prevenzione dei reati, mentre l’ordine dei giornalisti è sul piede di guerra perché in questo modo si introduce “un black out totale sulle notizie di cronaca giudiziaria” e viene inferto “un duro colpo al diritto di cronaca” in quanto viene impedito ai giornalisti di raccontare gli arresti e la gran parte delle azioni portate avanti delle forze dell’ordine e della magistratura.

Abuso d’ufficio: addio al reato spia
Non meno problematica appare la decisione di abolire l’abuso d’ufficio. Sul punto il ministro ha spiegato che è stata una scelta necessaria perché il reato si è dimostrato inefficace, dando luogo a migliaia di procedimenti che si sono conclusi con poche decine di condanne.

Il primo problema è che l’abolizione del reato, quando sarebbe stato necessario tipizzare in modo più chiaro l’abuso d’ufficio, va in controtendenza rispetto all’indirizzo dell’Unione europea che nella sua direttiva ha dato indicazione a tutti i Paesi Ue di mantenere o introdurre questa fattispecie di reato, esponendo al rischio di una tirata d’orecchi. Ma anche non volendo considerare questo punto, bisogna considerare che l’abuso d’ufficio è il reato tipico del clientelismo e che, come sostenuto da tutti i magistrati, è il reato spia della corruzione e del condizionamento mafioso. In altre parole attraverso questo tipo di reato, spesso e volentieri si arriva a individuare reati di corruzione e di mafia, cosa che a questo punto sarà molto più complicata.

Carriere separate: schiaffo ai magistrati
Riforma della Giustizia che, come da pallino di Silvio Berlusconi, sembra davvero destinata a sancire la tanto agognata separazione delle carriere dei magistrati. Sul punto il ministro Nordio ha promesso che questa novità non ridurrà l’indipendenza e l’autonomia dei giudici e dei pubblici ministeri. Peccato che le cose non starebbero proprio così.

Anzi secondo il deputato M5S ed ex procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho si andrà verso l’allontanamento del “pubblico ministero dall’ordine giudiziario per spingerlo nel settore amministrativo, in quello del rappresentante della pubblica accusa”, diminuendo sensibilmente l’indipendenza e l’autonomia del pubblico ministero in quanto, separato dal giudice, non avrà la stessa protezione costituzionale. Per capire chi dei due ha ragione bisognerà attendere di capire quali correttivi intende approntare il governo alla Costituzione.

Ma la cosa buffa è che la separazione delle carriere di fatto esiste già perché, a seguito delle riforme, è stato limitata ad una sola volta la possibilità di passare dalle funzioni di requirente a quelle di giudicante e viceversa. Passaggio che deve sottostare anche a rigorose condizioni, come il trasferimento in un ufficio di un’altra Regione.

E che le cose stiano così lo dicono soprattutto i numeri. Dati alla mano dal 2006 al 2021 i magistrati che sono passati da giudicanti a requirenti sono stati mediamente 20 all’anno, quelli che hanno effettuato il percorso inverso sono stati 28, per complessivi 47 cambi di funzione all’anno. Può sembrare un numero elevato ma non lo è affatto. Nei quindici anni presi in esame, mediamente i magistrati in servizio sono stati 8.620 e quindi, numeri alla mano, i passaggi da pm a giudice sono stati pari a 2 magistrati su mille mentre quelli da giudice a pm sono stati 3 su mille.

Arretrati e assunzioni: i falsi successi
Perfino parlando dell’abbattimento dell’arretrato del 29 per cento e l’assunzione di 4.200 unità di personale amministrativo, il governo e il ministro Nordio sembrano non raccontarla giusta. Non perché si tratti di dati farlocchi o di misure inefficaci, anzi quest’ultime sono utili e si dovrebbe procedere su questa strada, quanto perché non sono meriti ascrivibili all’attuale governo ma a quelli che lo hanno preceduto.

Del resto i dati sull’arretrato smaltito dagli uffici giudiziari e sulla riduzione della durata media dei processi in appello e in Corte di Cassazione fanno riferimento agli ultimi anni e in particolare a quelli che hanno potuto contare sulla Spazzacorrotti, voluta dall’allora ministro pentastellato della Giustizia, Alfonso Bonafede. Una norma che ha ricevuto critiche, pur dando frutti che sono sotto gli occhi di tutti, che però è stata smantellata con l’ormai prossimo ritorno a una sorta di legge Orlando annacquata che prevede una sospensione della prescrizione per 24 mesi dopo la sentenza di primo grado e per 12 mesi dopo l’eventuale conferma in Appello.

Norma che prevede anche che se la sentenza di impugnazione non interverrà nei tempi previsti, allora la prescrizione riprenderà il suo corso e si calcolerà anche il precedente periodo di sospensione, e che, in ultimo, prevede che in caso di successivo proscioglimento o di annullamento della condanna in Appello o in Cassazione, il periodo in cui il processo è stato sospeso si calcolerà ai fini della prescrizione. Appare evidente che stando così le cose, i tempi del processo torneranno ad allungarsi invece che ridursi come questa maggioranza promette da mesi.