Mai come nel caso del telegiornale di La7 si può parlare di un Tg che ha sviluppato una propria comunità. E che comunità! Da oltre 11 anni lo dirige Enrico Mentana, anche se sarebbe meglio dire che lui l’ha ricreato, reinventato completamente sia dal punto di vista delle notizie che dell’impaginazione, portandolo a diventare un caso giornalistico più unico che raro.
Non che Mentana avesse bisogno di chissà quali patenti di professionalità e di affidabilità: si tratta di un giornalista dal curriculum invidiabile che ha fatto la storia della televisione e che già nelle sue precedenti esperienze in Rai e in Mediaset aveva dato prova della sua autorevolezza e del suo talento. Però, rispetto alla lunga parentesi da direttore del Tg5, in cui ha formato una vera e propria scuola di giornalisti poi affermatisi, come Emilio Carelli, Lamberto Sposini, Cesara Buonamici e tanti altri, col Tg La7 ha creato un suo cluster sociologico che oltre a essere attentissimo al prodotto giornalistico è anche l’ideale per qualsiasi pianificatore pubblicitario.
Lo certificano i dati di OmnicomMediaGroup che attestano l’assoluto pregio dell’audience a cui Mentana parla tutte le sere, una platea di amministratori delegati, direttori marketing, professionisti, insegnanti, avvocati, insomma una classe alta situata soprattutto al Centro-Nord: il suo Tg delle 20 ha una media di circa 1 milione di spettatori e il 5% di share, sostanzialmente in linea con lo scorso anno, ma raggiunge l’altissimo share del 12,1% presso il target laureati; i picchi di gradimento si registrano in Friuli V.G. (9,2% di share), Liguria (7,7%), Emilia R. (6,6%), Toscana (5,9%), Marche (5,8%) e Lombardia (5,6%) mentre al Sud l’incidenza è minore.
Superficialmente si potrebbe pensare che questa comunità attenta ed esigente sia fidelizzata solo grazie alla figura di Mentana. In parte è così, ma è anche vero che il taglio di questo Tg, il format dei servizi, lo stile estremamente sobrio e “calvinista”, scevro di qualsiasi concessione al moderno marketing della comunicazione, fa di questo esperimento quasi un unicum nel panorama dei telegiornali italiani. I temi privilegiati sono quelli di attualità e di politica, ovviamente sanità e pandemia, molto spazio viene dato all’economia, un discreto spazio alla politica internazionale e pochissimo al costume.
Ma poco male, questo è quanto gli utenti vogliono dal telegiornale di Mentana: la sua messa cantata piace per il modo con cui vengono introdotte le notizie, per come sono codificate le logiche di palazzo ma anche per il taglio dei servizi, incisivo, che arriva subito al dunque. Mentana ha fatto un Tg tonico, che funziona, che arriva al pubblico di alto livello, che fa opinione come pochi. Una reputazione poi capitalizzata nelle trasmissioni in cui l’abbiamo visto cimentarsi nel corso degli anni, come Bersaglio mobile, che ci ha regalato perle di giornalismo, oppure più recentemente gli speciali, in particolare quello dedicato al ritorno di Michele Santoro e l’ultimo grandissimo colpo, cioè la chiacchierata con Ilda Boccassini, che non parlava in televisione da 23 anni.
Proprio questa significativa intervista ci permette di analizzare la fenomenologia di Mentana: pur non lesinando nessuna domanda alla Boccassini, anche quelle più scomode sul presunto amore tra lei e Falcone, è venuto fuori un ritratto assolutamente perfetto e calzante di uno dei magistrati più influenti, nel bene e nel male, della nostra storia. Mentana è stato capace di estrapolare da Ilda “la rossa” tutte le sfumature del suo carattere, da quella di inflessibile magistrato a volte odiosa, antipatica ed eccessiva nella sua ricerca maniacale della correttezza e della linearità, a quella di donna fragile con cedimenti. Non era facile carpire da un tale personaggio simili aspetti, eppure lui ci è riuscito, grazie alla sua innata capacità di tirar fuori il meglio dalle persone.