Quando si parla di “migrazione”, le parole dell’ufficialità italiana si fermano a Lampedusa o, al massimo, a Cutro. Scompaiono prima della Libia, evaporano prima di Tunisi. Eppure è lì – in quei non-luoghi del diritto – che prende forma la sostanza vera della politica migratoria europea: non il soccorso, ma la tortura. Il nuovo rapporto di Medici Senza Frontiere, in collaborazione con Policlinico e Università di Palermo, ne dà prova documentale. Si intitola “Disumani” e fotografa ciò che la politica preferisce non vedere: un sistema di violenza delegata, in cui i migranti diventano materia di scambio tra trafficanti, milizie e governi.
Una mappa dell’orrore
Tra gennaio 2023 e febbraio 2025, il solo progetto MSF di Palermo ha assistito 160 persone sopravvissute a torture gravi. Vengono da venti Paesi, con una netta prevalenza da Bangladesh, Gambia, Costa d’Avorio, Camerun e Nigeria. Il 71% ha tra i 18 e i 33 anni, e tre pazienti su quattro sono uomini. Ma tra le donne, l’80% ha subito violenze sessuali e il 30% ha subito mutilazioni genitali o vive con la paura di subirle.
Il 60% ha subito torture in Libia. Seguono Tunisia e Algeria, con un picco nel 2024: in Tunisia, i casi di tortura sono passati dall’11% del 2023 al 24% del 2024. E nel 36,5% degli episodi analizzati, le torture sono avvenute in Paesi che l’Italia considera “sicuri” per i rimpatri: Algeria, Bangladesh, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Ghana, Marocco, Senegal, Tunisia. Il 14% delle persone assistite ha subito respingimenti: in oltre la metà dei casi è stata la Guardia Costiera libica, armata e sostenuta anche con fondi italiani, a riportare i migranti nei centri di detenzione. Per molti, la tortura inizia dopo il salvataggio.
I numeri dell’impunità
Nel 82% dei casi, la tortura è avvenuta nei Paesi di transito. Solo il 2% ha riportato torture nei Paesi di arrivo, tra cui anche l’Italia. Dei 181 episodi documentati, in 162 è stato possibile individuare la tipologia di tortura: 31% percosse, 15% lavoro forzato, 12% privazioni di acqua e cibo, 6% “falanga”, 5% prostituzione forzata. Tra gli autori, il 60,3% sono trafficanti, il 29% agenti delle forze dell’ordine. In Libia, nel 70% dei casi i torturatori sono trafficanti, ma operano spesso in complicità con le milizie statali.
Un paziente su sei ha dichiarato di aver subito torture in più di un Paese. E l’82% ha subito violenza in Libia, Tunisia o Algeria: Paesi dove l’Italia ha firmato accordi di contenimento.
Il progetto di Palermo: una cura contro l’oblio
A Palermo, dal 2020, MSF ha costruito una risposta: un servizio integrato e multidisciplinare che coinvolge Università, Policlinico “Giaccone” e clinica legale CLEDU. Il 74% dei pazienti seguiti tra 2023 e 2025 è stato intercettato dal personale MSF, gli altri tramite ASP o centri di accoglienza. Viene redatto un piano terapeutico personalizzato, con assistenza medica, psicologica e legale. La mediazione interculturale è presente in ogni fase, come strumento essenziale per rendere accessibile il trattamento.
Nel 2024, l’ambulatorio del Policlinico ha registrato 3.500 accessi, con 700 pazienti assistiti, il 68% uomini sotto i 40 anni. Il 67% dei casi MSF ha rilevato sindromi post-traumatiche. Il 21% mostra sintomi depressivi. Il 14% soffre di ansia patologica. Il 3% ha espresso ideazioni suicidarie. Il 6% ha riportato sintomi psicotici. Fra le donne, una su tre ha riportato gravidanze forzate o conseguenze ginecologiche gravi. Le torture subite – raccontano le cartelle – lasciano cicatrici fisiche, ma anche danni invisibili: insonnia, flashback, autoisolamento, perdita del senso di sé.
Dovere di verità, urgenza di cura
Il diritto internazionale è chiaro. La Convenzione contro la Tortura del 1984 – ratificata dall’Italia – impone agli Stati l’obbligo di garantire piena riabilitazione alle vittime. Ma in Italia, nonostante l’introduzione del reato di tortura nel 2017 e l’approvazione di linee guida ministeriali, l’applicazione è ancora largamente disomogenea. Mancano mediatori, competenze specifiche, personale formato. Le Regioni non implementano le direttive, mentre la propaganda si concentra sul “controllo dei flussi”.
Il rapporto MSF chiede l’ovvio: che si smetta di ignorare la tortura. Che Palermo non resti sola. Che si riconosca la realtà di centinaia di sopravvissuti invisibili. Che si interrompa il cortocircuito fra cooperazione e complicità. Perché non c’è neutralità nel continuare a stringere accordi con chi tortura. E non c’è umanità nel voltarsi dall’altra parte.