Milioni di consulenze al Tesoro

di Clemente Pistilli

Sono stati sperperati milioni. Decine di milioni affidando oltre 450 consulenze. Denaro che si poteva risparmiare facendo semplicemente lavorare i dipendenti del Ministero dell’economia e finanze. Portando avanti questa tesi, nel 2009, la Corte dei Conti indagò un alto numero di funzionari del Mef e di beneficiari di ricchi incarichi. Tra un cavillo legale e l’altro, l’inchiesta è finita nel cestino e a giudizio sono rimaste solo nove persone e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ma niente paura. Nell’udienza prevista per domani dovrebbe essere solo dichiarata l’ennesima nullità degli atti, facendo calare il sipario sull’intera vicenda. Non si saprà mai se al Ministero sono stati bruciati milioni. Quello che è certo è che nessuno tirerà fuori un centesimo.

Lotta a sprecopoli

Nel 2009, quando iniziò a indagare il viceprocuratore generale Guido Patti, in molti tremarono. Nel mirino del magistrato le circa 450 consulenze assegnate, tra il 2002 e il 2008, dalla ragioneria, dal dipartimento del tesoro, da quello dell’amministrazione generale e da quello delle politiche dello sviluppo, che fino al 2006 dipendeva dal dicastero di via XX Settembre. La tesi degli inquirenti contabili è che quelle decine di milioni di euro spesi non erano altro che un danno erariale, visto che il lavoro affidato agli esterni poteva essere compiuto dai dipendenti del Ministero. Partirono gli inviti a dedurre, come vengono chiamati dalla Corte dei Conti gli avvisi di garanzia, e sotto accusa finirono anche l’ex ministro Domenico Siniscalco, Fabrizio Barca e Vittorio Grilli, oltre a numerosi alti dirigenti. In tanti diedero spiegazioni, difesero il loro operato, ma soprattutto ingaggiarono una dura battaglia con la magistratura contabile sul fronte della procedura, sostenendo che i procedimenti erano viziati.

Un buco nell’acqua

Tante le accuse fatte dagli inquirenti e altrettanti gli atti annullati dai giudici. Le difese hanno sostenuto che non si possono compiere indagini esplorative, andare a vedere se è stato compiuto regolarmente questo o quell’atto per poi passare all’azione se spunta qualche dubbio. Alla fine a resistere è stato solo il procedimento che verrà discusso domani davanti alla sezione giurisdizionale del Lazio.

Sipario chiuso

A giudizio sono finiti Paolo Emilio Signorini, all’epoca direttore del Cipe e ora nominato dal ministro Maurizio Lupi capo del dipartimento infrastrutture del Ministero dei trasporti, Patrizia Munzi Bitetti, l’architetto Emma Gigli, Barbara Marinali, confermata dal Governo Letta nell’Authority per i trasporti, la dirigente Amalia Senesi e gli eredi di un dirigente del Mef, Cherubina Coppola, Marco e Paola Mezzaroma, il consulente ing. Carlo Celentani Ungaro e la stessa Presidenza del Consiglio. Il giudizio era stato sospeso nell’attesa che i giudici d’appello si pronunciassero sulla legittimità degli atti. Visto che i giudici hanno deciso e anche in questo caso dichiarato tutto inammissibile, con ogni probabilità però domani la Corte dei Conti non farà altro che chiudere definitivamente il caso, senza una risposta definitiva su eventuali sprechi e senza che a nessuno vengano messe le mani in tasca. L’inchiesta è finita così. Male.