Morire per Marte? Sarà dura diventare multiplanetari. L’uomo ha sempre cercato di esplorare. E farlo nello Spazio può essere vitale

L'uomo ha sempre cercato di esplorare. Andare su Marte è dannatamente pericoloso e può essere mortale. Allora perché farlo?

Morire per Marte? Sarà dura diventare multiplanetari. L’uomo ha sempre cercato di esplorare. E farlo nello Spazio può essere vitale

Elon Musk, durante un evento, parlando del suo progetto di esplorazione e colonizzazione marziana, ha detto: “Potresti morire, sarà scomodo e probabilmente non avrai del buon cibo. Un gruppo di persone probabilmente morirà all’inizio, ma sarà un’avventura gloriosa e un’esperienza straordinaria!”. Musk ha ragione. Andare su Marte è dannatamente pericoloso e può essere mortale. Allora perché farlo?

Un viaggio per Marte dura tra i 6 e i 9 mesi. Gli astronauti mangeranno cibo razionato, in uno spazio angusto, faranno attività fisica continua per non compromettere la muscolatura, il sistema immunitario e quello cardiovascolare, con la minaccia delle radiazioni cosmiche, e un’infinità di variabili letali. Arrivati su Marte, il tempo di permanenza minimo è di circa due anni, ossia il periodo necessario per avere la cosiddetta finestra di lancio per tornare a casa.

LA SFIDA. I nostri eroi innanzitutto dovranno trovare il modo di procurarsi ossigeno e acqua. L’ossigeno sarà prodotto da uno strumento come MOXIE di Perseverance, che già funziona su Marte estraendo ossigeno dalla CO2 aliena. Per l’acqua bisognerà scavare o cercare un posto all’ombra perenne, magari all’interno di un cratere, dove possa esser presente del ghiaccio che poi dovrebbe essere sciolto, l’acqua ottenuta incanalata e conservata nel sottosuolo o in contenitori appositi perché sulla superficie semplicemente vaporizzerebbe.

Bisognerebbe scavare ancora nella roccia per ricavare uno spazio più vivibile di quello della navicella. Una tenda in superficie non basta a proteggersi da temperature gelide (quella media è -60), radiazioni cosmiche e tempeste di polvere. Infine, il cibo. E quindi costruire delle serre per coltivare alcuni tipi di piante.
Si dovrà lavorare con tuta spaziale e bombola d’ossigeno, a una gravità pari a un terzo di quella terrestre e una pressione che è meno di un centesimo della nostra. Anche il più piccolo incidente sul lavoro può essere fatale. Poi ci sono le privazioni.

CONDIZIONI ESTREME. Niente bagno caldo per anni. Scordati un caffè fumante, una boccata d’aria fresca o il calore del sole sulla pelle. Si può barattare con l’euforia di essere i primi umani su un altro pianeta? Con la visione del primo tramonto blu sulle lande marziane? Con l’eccitazione della possibilità di trovare forme di vita aliena o tracce di una loro antica presenza? La risposta è sì.

Leggi anche: Torna la corsa allo spazio. Ed è una buona notizia. La Russia fuori dall’Iss è il segnale. Riparte una sfida che serve alla ricerca.

UN PREZZO DA PAGARE. La storia umana ci dice che siamo disposti al sacrificio pur di esplorare. Diciannove uomini perirono per esplorare l’Antartide. Si contano 32 morti sui 568 uomini e donne che si sono spinti oltre l’atmosfera terrestre. I martiri non si contano se pensiamo alle esplorazioni e migrazioni a partire dalla preistoria.

Come racconta Yuval Noah Harari in “Sapiens”, siamo diventati stanziali solo negli ultimi diecimila anni, dopo la rivoluzione agricola. Per oltre duecentomila anni, noi sapiens eravamo sempre stati nomadi. Il nostro DNA è quello dei cacciatori raccoglitori, ossia degli esploratori. La rivoluzione agricola cambiò le abitudini dell’uomo e la sua dieta diventò meno varia, causando problemi al sistema scheletrico e portando le malattie. Ma si rivelò una scelta irreversibile perché fu vincente per la specie umana. Gli svantaggi del singolo non sono stati un problema. Più cibo a disposizione ha infatti significato più nascite e il prosperare dell’umanità.

DI NUOVO NOMADI. Oggi l’uomo sente di nuovo l’istinto di esplorare. Si prepara a ritornare nomade, stavolta tra le stelle. È certo che faremo quel passo in più verso l’ignoto anche a costo di sacrificare delle vite. Ma la colonizzazione spaziale sarà irreversibile solo se porterà dei vantaggi alle nostre esigenze come specie umana. Ossia se ci permetterà di mangiare e riprodurci ancora di più. Se essere una specie multiplanetaria, come dice Musk, converrà all’umanità, allora lo diventeremo. Costi quel che costi.

Per domande, curiosità, suggerimenti: pietro@infinitimondi.space