Nassiriya vent’anni dopo. L’Italia ricorda le 28 vittime dell’attentato in Iraq. Ma le medaglie d’oro non sono ancora arrivate

L'Italia ricorda le 28 vittime dell'attentato alla base Maestrale di Nassiriya. Ma le medaglie d'oro non sono ancora arrivate.

Nassiriya vent’anni dopo. L’Italia ricorda le 28 vittime dell’attentato in Iraq. Ma le medaglie d’oro non sono ancora arrivate

Venti anni fa, il 12 novembre 2003, a Nassiriya un camion carico di 400 chilogrammi di tritolo entra nella base “Maestrale”, in Iraq, presidiata da Esercito e carabinieri, uccidendo 28 persone – 19 italiani e 9 iracheni -, tra questi ci sono 17 militari italiani, un cooperatore internazionale e un regista, anche lui nostro connazionale.

L’Italia ricorda le 28 vittime dell’attentato alla base Maestrale di Nassiriya

“La Giornata del ricordo dedicata ai Caduti, militari e civili, nelle missioni internazionali per la pace, ricorre nel ventesimo anniversario della strage di Nassiriya, ove, a causa di un vile attentato, morirono 19 italiani tra soldati, carabinieri e civili. Il sentimento del lutto ci accompagna in questo giorno in cui la Repubblica rivolge il suo pensiero ai tanti feriti e caduti nelle missioni che l’Italia ha sviluppato in questi anni a servizio della comunità internazionale e dei diritti dei popoli, insieme all’espressione della solidarietà e vicinanza alle famiglie colpite” scrive in un messaggio inviato al ministro della Difesa, Guido Crosetto, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

I familiari delle vittime nei giorni scorsi hanno lanciano un appello affinché si conceda alla memoria dei caduti la medaglia d’oro al valor militare

I familiari delle vittime, vent’anni dopo quel sanguinoso attentato, nei giorni scorsi hanno lanciano un appello alle istituzioni affinché si conceda alla memoria dei caduti di Nassiriya la medaglia d’oro al valor militare. “È stata la più grande strage di militari italiani dal dopoguerra e in questa occasione ci saremmo aspettati una sensibilità diversa per quello che mio padre e gli altri hanno fatto per lo Stato, decidendo di rimanere in Iraq nonostante l’alto rischio a cui erano esposti, scelta che hanno pagato con la vita”, dice Marco Intravaia, figlio del vicebrigadiere Domenico, una delle vittime, il quale lancia – anche a nome dei familiari degli altri caduti – un appello al presidente della Repubblica Mattarella, alla premier Meloni e al ministro della Difesa Crosetto affinché venga assegnata l’onorificenza.

In Iraq, nel luogo dell’attentato nessun simbolo o lapide ricorda il drammatico evento

Da tempo lo scheletro di cemento della base Maestrale, i resti di quella struttura dopo la deflagrazione, sono stati demoliti e sostituiti con degli uffici iracheni, ma “nessun simbolo o lapide in Iraq ricorda quel drammatico evento. C’è soltanto una targa nell’ambasciata italiana”, spiega Marco Intravaia, palermitano di 36 anni e parlamentare regionale in Sicilia, il quale aggiunge: “Domenica prossima io e gli altri familiari saremo a Roma per le celebrazioni, ma ci saremmo aspettati dal ministero della Difesa un evento diverso per il ventennale, che invece è stato quasi dimenticato o sottovalutato”.

Poi le sue amare riflessioni personali: “La medaglia d’oro a questi diciassette militari italiani dell’Arma e dell’Esercito che parteciparono alla missione in Iraq denominata Antica Babilonia non è mai arrivata a causa di continue rivalità interne. Anche il fatto di aver istituito in questa stessa data la giornata del ricordo da estendere a tutti i caduti, per quanto i morti abbiano sempre pari dignità, non può e non deve rischiare di lasciare nel dimenticatoio una pagina di storia del nostro Paese”.

Intravaia ricorda anche quei momenti che hanno cambiato la sua vita: “Avevo quasi 16 anni ed ero al liceo a Monreale quando alla mia compagna di banco arrivò sul cellulare un sms flash dei tg che parlava di un attentato al contingente italiano in Iraq. Ebbi un presentimento, chiamai a casa e mi insospettii, poi quando vennero i carabinieri ebbi la conferma. Dopo quel trauma mi ammalai di anoressia ma per fortuna riuscii a riprendermi, per dare sostegno alla mia famiglia. Però ricordo ancora con orgoglio i funerali di Stato che si tennero a Roma, con quel fiume interminabile di persone che passavano davanti alle bare, fermandosi anche soltanto per recitare una preghiera”.

L’attentato di sollevò diversi dubbi sulla gestione della sicurezza da parte italiana: i due uomini a bordo dell’autocisterna riuscirono a forzare l’entrata della base, presidiata dai carabinieri, facendo esplodere una bomba e la deflagrazione, con un effetto domino, fece saltare in aria il deposito munizioni. “Assieme ai familiari delle altre vittime abbiamo condotto tante battaglie affinché lo Stato non dimenticasse, lottando anche in sede giudiziaria: l’allora generale Stano esercito, Stano, è stato condannato in Cassazione per non aver attivato tutte le procedure di sicurezza che avrebbero ridotto l’entità della strage. Inoltre i warning dei servizi segreti erano stati ignorati”. Oggi che le informazioni sui conflitti internazionali dominano la vita quotidiana di tutti – dall’Ucraina al Medioriente – Intravaia e gli altri familiari sperano che non si perda il senso di quello choc che vent’anni fa attraversò il Paese.

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