Nel nome del padre. Dice di non aver mai fatto sesso con l’amica e che il bambino nato non è suo figlio. Ma la Cassazione dà ragione alla donna e lui si difende accusandola di avergli rubato il liquido seminale

di Clemente Pistilli

Nuovi “paletti” a tutela delle donne e dei minori. A metterli è la Corte di Cassazione, con una sentenza relativa a un papà che non voleva riconoscere il figlio, sostenendo che un’amica era rimasta incinta rubandogli una provetta con del liquido seminale. La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’uomo, nonostante una consulenza tecnica disposta per far luce sul racconto del ricorrente non avesse fornito certezze sull’accaduto, lo ha “condannato” a fare il papà, a mantenere il bambino e a risarcire l’ormai ex amica. Il motivo? La tesi sul furto del seme è stata “gravemente lesiva della dignità morale” della donna.

Misterioso concepimento
La vicenda ha inizio nel 2010 in Calabria. Una donna, che chiameremo Roberta, presenta un ricorso al Tribunale per i minorenni di Reggio, chiedendo che il suo bambino venga riconosciuto figlio naturale di un uomo, che chiameremo Marco. Roberta e Marco hanno lavorato insieme, sono stati amici, ma a detta della donna c’è stato di più e il risultato di quella storia ormai finita è un bimbo, che a sua volta chiameremo Fabio. Roberta vuole che il figlio abbia un papà e che l’uomo che gli ha permesso di venire al mondo contribuisca alla sua crescita. Marco non ci sta. Si oppone alla dichiarazione di paternità. Fabio è sangue del suo sangue, ma per Marco a seguito di un’”azione dolosa”. Nessuna violenza, nessuno stupro con vittima un uomo. L’ormai ex amico di Roberta sostiene che quest’ultima è rimasta incinta nonostante loro non avessero mai fatto sesso. Dolo? Un figlio senza alcun rapporto carnale? Un giallo che Marco cerca però di chiarire al Tribunale: “Signor giudice ho subito un furto. Quella donna mi ha sottratto una provetta contenente del mio liquido seminale e l’ha utilizzato per procurarsi una gravidanza”.

Indagini per presunto furto di sperma
Una situazione sicuramente singolare quella davanti alla quale si sono trovati i giudici, che cercando di sgomberare il campo da qualsiasi equivoco hanno anche disposto una consulenza tecnica. Certezze, però, non sono arrivate. Per i magistrati quanto riferito da Marco “non è provato e non è avallato scientificamente”. L’uomo ha “prospettato un accadimento quantomeno rocambolesco sotto il profilo umano e scientifico”. Furto o no il Tribunale ha dichiarato che Marco è padre di Fabio. Era l’8 luglio 2011. Il “padre per forza” non si è arreso e ha fatto appello. Ha insistito: “quel figlio è frutto di un’azione dolosa in mio danno”. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, il 27 marzo dell’anno scorso, conferma però la sentenza sulla dichiarazione di paternità, stabilisce che il padre deve a Fabio 350 euro al mese per contribuire al mantenimento del bambino e che deve risarcire con mille euro il danno procurato all’ex amica, ritenendo la tesi sul furto di sperma “temeraria” e “lesiva dell’integrità morale della donna”.

La decisione degli ermellini
Marco, fermo nel suo proposito di non fare il papà e di non tirare fuori un centesimo per Fabio e Roberta, ha giocato l’ultima carta a sua disposizione con un ricorso in Cassazione. Il caso è approdato davanti alla I sezione civile della Suprema Corte, presieduta dal giudice Giuseppe Salmè, consigliere relatore Giacinto Bisogni. Gli ermellini hanno rigettato il ricorso, confermato la sentenza di Reggio Calabria e di fatto stabilito un’ulteriore tutela per le donne e per i bambini. “Nell’ipotesi di nascita per fecondazione naturale – si legge nella sentenza depositata il 25 settembre scorso – la paternità è attribuita come conseguenza giuridica del concepimento, sicché è esclusivamente decisivo l’elemento biologico e, non occorrendo anche una cosciente volontà di procreare, nessuna rilevanza può attribuirsi al disvolere del presunto padre, una diversa interpretazione ponendosi in contrasto con l’articolo 30 della Costituzione, fondato sul principio della responsabilità che necessariamente accompagna ogni comportamento potenzialmente procreativo”. E confermata la condanna a risarcire la donna per lite temeraria, ritenendo tale l’accusa all’ex amica di essersi procurata una gravidanza indesiderata. Marco è “condannato” a fare il padre e a pagare. Il messaggio degli ermellini sembra chiaro: attenzione a lasciare liquido seminale in giro e alle parole che si usano con le donne.