La questione salariale in Italia è una vera e propria emergenza sociale. Lo è ancor di più nel Mezzogiorno. Nel 2024 nel settore privato il salario lordo medio nazionale è di 24.486 euro annui, mentre nel Meridione si ferma a 18.148 euro, con un divario di -25,9% rispetto all’Italia. È quanto si legge in uno studio dell’ufficio economia della Cgil che analizza i dati Inps del settore privato (esclusi agricoli e domestici) e diffuso alla vigilia dello sciopero generale proclamato dal sindacato guidato da Maurizio Landini contro una Manovra ingiusta e per reclamare l’aumento di stipendi e pensioni.
I salari un’emergenza sociale, con picchi nel Mezzogiorno
Dall’analisi emerge anche che nel Mezzogiorno il 47,3% dei lavoratori, pari a 2,1 milioni di persone, rientra nella fascia di reddito fino a 15mila euro lordi annui. Questo profondo divario salariale – prosegue l’analisi della Cgil – tra il Mezzogiorno e l’Italia è determinato da diversi fattori: un minor numero di giornate medie retribuite all’anno (228 contro 247), un maggior peso delle attività economiche a retribuzione più bassa, un’incidenza più alta del lavoro atipico.
Nel Mezzogiorno, infatti, il lavoro a termine riguarda il 34,5% dei lavoratori (contro il 26,7% a livello nazionale), il part-time il 43,6% (contro il 33,0% nazionale), il lavoro discontinuo il 56,5% (contro il 45,6% nazionale). Per il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, questi dati dimostrano che “la questione salariale nel Mezzogiorno è un’emergenza nell’emergenza, che spiega, più di ogni altra causa, l’esodo di 175mila giovani meridionali nel triennio 2022-2024 verso altri territori del Paese e verso l’estero, per cercare un lavoro dignitoso e una vita migliore”. E, prosegue, nella manovra di bilancio “non c’è alcuna risposta alle questioni che stiamo sollevando. Per modificarla abbiamo indetto lo sciopero generale del 12 dicembre”.
Nel Sud salari inferiori ai 15mila euro lordi annui per quasi la metà dei lavoratori
Nel Sud, afferma ancora il segretario confederale della Cgil, “quasi la metà dei lavoratori del settore privato ha percepito un salario inferiore ai 15mila euro lordi annui che equivalgono, nel migliore dei casi, a circa 1.100 euro netti mensili. Le gabbie salariali, di fatto, esistono già e andrebbero superate, mentre non pochi le propongono addirittura come la soluzione”. Ferrari sottolinea anche che l’aumento dell’occupazione “riguarda quasi solo gli over50, spinto dall’innalzamento dell’età pensionabile, ed è trainato da settori a basso valore aggiunto, caratterizzati da lavoro povero e sfruttamento. Questo accade particolarmente nelle regioni meridionali, dove si concentrano i fattori negativi del mercato del lavoro: meno giornate retribuite, più precarietà, più part-time involontario e discontinuità lavorativa, meno occupazione femminile”.