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Non basta un bonus per cambiare la rotta

I problemi atavici del nostro mercato del lavoro non si risolvono con un bonus di 100 euro una tantum annunciato alla vigilia del 1° maggio.

Non basta un bonus per cambiare la rotta

I problemi atavici del nostro mercato del lavoro non si risolvono con un bonus di 100 euro una tantum annunciato alla vigilia del 1° maggio, Festa dei lavoratori. Dalle paghe da fame al mismatch tra domanda e offerta, ecco dove (e come) bisogna intervenire per cambiare rotta.

1. Salari al palo. Il 61% dei lavoratori italiani ritiene che gli stipendi siano inadeguati per fronteggiare il caroprezzi. Il perché è presto detto: l’Italia è l’unico Paese europeo in cui i salari sono diminuiti rispetto al 1990 (-2,9%). L’introduzione di un salario minimo legale, come quello proposto dall’opposizione, avrebbe potuto rappresentare un passo avanti per 3,6 milioni di lavoratori. A dicembre, però, la maggioranza ha trasformato la pdl a prima firma Conte in una delega in bianco al governo, arenata nelle secche del Senato.

2. Vite precarie. Malgrado i toni festanti di maggioranza e governo sull’aumento dei contratti stabili, in Italia i precari sono sempre attorno ai 3 milioni. Di più: nel rapporto Bes 2023, l’Istat ha evidenziato come l’anno scorso sia aumentata la quota di chi svolge un lavoro a termine da cinque anni e più. Tale fenomeno colpisce soprattutto i laureati (+2,4%). Insomma: una fetta non irrilevante della nostra forza lavoro è caduta nella trappola della precarietà e non riesce a uscirne. Ma di soluzioni non se ne vedono.

3. In… sicurezza sul lavoro. Sono “uno scandalo inaccettabile per un Paese civile”, come le ha definite il presidente Mattarella. In Italia, però, le morti sul lavoro non si fermano. L’anno scorso sono state 1.041, solo nei primi due mesi del 2024 ben 119 (+19%). Fin qui l’azione del governo è stata debole, ma le responsabilità non sono solo politiche. Come rilevato dall’Inl, nel 2023 le violazioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono aumentate del 44%. Esiste, dunque, un problema culturale a cui va posto rimedio.

4. Donne e giovani indietro. I nostri tassi di occupazione femminile e giovanile restano lontani da quelli degli altri Paesi. In Italia lavora il 56,5% delle donne tra i 20 e i 64 anni, a fronte di una media Ue del 70,2%. Non va meglio per i ragazzi: siamo ultimi in Europa per neolaureati con un’occupazione. Il Pnrr avrebbe potuto (e dovuto) dare una spinta in tal senso, ma, come ha messo in luce Openpolis, il 64% dei bandi finanziati dallo stesso Piano non prevede vincoli di assunzione su giovani e donne. Un cane che si morde la coda.

5. Chi cerca (non) trova. C’è infine il tema delle politiche attive. Le imprese continuano a lamentare la carenza di manodopera. Caduto l’alibi del Reddito di cittadinanza, all’appello mancano 2,5 milioni di lavoratori. Ciò anche a causa di un calo demografico significativo. Alla piattaforma Siisl si sono iscritti in appena 60.599 e la durata media dei corsi è inferiore a tre mesi. Così non si va da nessuna parte.