Non pugnaliamo i russi, quella di Putin non è la loro guerra

Guerra Russia-Ucraina: non è così scontato prendere una posizione nel conflitto quando ci sono vittime da una parte e dall'altra.

Non pugnaliamo i russi, quella di Putin non è la loro guerra

Guerra Russia-Ucraina: sono di queste ore le dure parole di padre Enzo Bianchi, l’ex Priore della comunità monastica di Bose, che nella difesa integrale e convinta della posizione di Papa Francesco sulla guerra in Ucraina ci consegna una verità difficile da accettare: è facile inneggiare alla Resistenza quando non si combatte in prima linea e non si rischia la propria vita, o quella dei propri cari.

È sbagliato semplificare

Essendo qualsiasi guerra ingiusta per sua stessa natura e tenendo ferma la linea di demarcazione che distingue l’aggressore dall’aggredito unita al sacrosanto diritto di difendersi, il dibattito pubblico tende a soffocare qualsiasi posizione ricordi al mondo che non tutti i russi sono putiniani e che dunque una parte consistente della popolazione russa non vuole questa guerra per ragioni ideologiche e per legittima  convenienza pratica ed economica. Tutto questo dovrebbe indurre a non polarizzare eccessivamente le posizioni nelle varie analisi che ci vengono costantemente propinate sul conflitto in corso e ad accogliere le sfumature, onde evitare che si giunga al sillogismo per cui ucraini equivale a “buoni” e russi equivale a “cattivi”.

A chi giova la russofobia?

Questa brutale semplificazione corroborata dalle parole di pseudo-esperti porta alla sedimentazione di una russofobia generalizzata che produce discriminazione e violenza. Molotov lanciate contro le case di imprenditori russi in Toscana, ristoranti che promuovono la cultura gastronomica russa costretti a cambiare nome perché immediatamente riconducile al paese di origine, donne che lavorano in Italia regolarmente nei servizi di assistenza geriatrica – delle quali io stessa ho raccolto le testimonianze – che nascondono le proprie origini per paura di essere additate come colpevoli. Ma colpevoli di cosa?

In Russia la democrazia è un sogno lontano e il putinismo ha ucciso il germe della sana opposizione, della libertà dei costumi, o della facoltà di chiamare le cose con il proprio nome. Basti pensare alla tristemente nota impronunciabilità della parola “guerra”. Lo stalinismo come la storia ci ricorda ha introdotto il reato di omosessualità da scontare con ben cinque anni di carcere e Putin, sulla linea di continuità con quegli orrori, ha partorito il reato di “propaganda gay” per cui il capo di imputazione è anche solo quello di proferire parola attorno all’omosessualità. 

Il tutto avallato dal potere spirituale incarnato dal patriarca della chiesa ortodossa che dichiara guerra ideologica all’Occidente che si è reso casa del peccato a partire proprio dall’omosessualità. 

Le assurde tifoserie

In questo clima di terrore e uccisione delle libertà, siamo davvero sicuri che i russi tutti siano il nemico da combattere? Il nostro comportamento collettivo rifuggendo la complessità del ragionamento ci induce spesso ad azioni che anziché contribuire alla risoluzione del problema, lo complicano e lo amplificano. In inammissibili tifoserie.

Quando il Papa nel corso della Via Crucis fa sostenere il peso della croce alle due donne che rappresentano la propria nazione di origine, appunto la Russia e l’Ucraina, vuole richiamarci proprio a questo sentimento di inclusione, di rispetto per il fratello e la sorella che non sappiamo più riconoscere. 

La lezione della Via Crucis

Anche per un laico quelle immagini sono di inestimabile valore perché il messaggio che veicolano è sostrato di quella civiltà della quale dobbiamo renderci orgogliosi alfieri. Anziché censurare questa lezione, o relegarla a qualche breve commento, possiamo perciò prenderla come monito per un ripensamento della nostra identità sociale, i cui valori sono in crisi da ben prima dell’esplosione della guerra di Putin in Ucraina. E così possiamo renderci protagonisti di una rivoluzione sociale che non conosca bandiera, e protegga tutti nel rispetto delle differenze e alla luce della libertà.