Non si vince la crisi senza un piano industriale

di Monica Setta

L’economia ha bisogno di più coraggio nell’azione di governo e soprattutto velocità nell’affrontare i nodi che ingessano il Paese e le imprese. Gaetano Maccaferri – grande imprenditore bolognese – non riempe i giornali di interviste. Chiamato da Giorgio Squinzi nella squadra di vertice in Confindustria, con la delega alle politiche regionali e alla semplificazione, il numero uno del gruppo che spazia dalla produzione dello zucchero al sigaro Toscano, dalle costruzioni all’immobiliare, fa il punto sulla crisi e le strategie di Palazzo Chigi per superare l’emergenza.

Il giudizio da imprenditore sulle mosse del governo in economia?

“Sicuramente si stanno facendo dei passi nella giusta direzione. Nel decreto Fare sono state recepite molte delle nostre proposte in materia di semplificazione e giustizia civile. Abbiamo apprezzato la volontà di collaborazione, ma auspichiamo che alcune misure vengano rafforzate e rese più cogenti, ad esempio quelle sull’ambiente. Soprattutto è importante agire subito. Molti buoni provvedimenti in passato sono rimasti lettera morta, perché sono mancati i decreti attuativi. Anche sul lavoro l’approccio è quello giusto. La disoccupazione, in particolare quella  giovanile è una vera emergenza nazionale. Le misure contenute nel dl lavoro e il buon risultato ottenuto da Letta al vertice europeo sono segnali positivi. E’ anche vero però che non sono certamente soluzioni esaustive, non risolvono il problema alla radice e si rivolgono ad una platea limitata. Bisogna continuare su questa strada con più coraggio”.

Fosse il premier, cosa farebbe subito per far ripartire l’economia?

“Questo Paese ha bisogno di tornare ad avere un piano di politica industriale quanto meno di medio termine. Dobbiamo uscire dalla logica dell’emergenza e delle misure tampone.Sappiamo benissimo che non ci possiamo permettere una gestione allegra delle finanze e che abbiamo dei vincoli da rispettare. Si può costruire un percorso per trovare le risorse, che deve partire, come ha sottolineato anche Saccomanni, da una riduzione della spesa pubblica improduttiva. Una spending review, vera rimandata da troppo tempo. Per parte nostra le imprese sono pronte a fare la loro parte rinunciando agli incentivi in cambio di una riduzione della pressione fiscale. Qui per noi il provvedimento più urgente rimane la riduzione del cuneo fiscale, eliminando dalla base imponibile dell’ Irap il costo del lavoro, togliendo non meno di 11 punti di oneri sociali che gravano sulle imprese. È prioritario anche il pagamento dei debiti della Pa che, allo stato attuale, sono ancora incerti nell’ammontare finale e nella tempistica effettiva. Questi due provvedimenti potrebbero ridare un po’ di fiducia alle imprese e reinserirle in un cammino di crescita. Poi vorrei ricordare che ci sono dei provvedimenti, che sarebbero a costo zero,  e che riguardano le semplificazione burocratica e amministrativa e le riforme istituzionali”.

A proposito, la burocrazia in Italia resta uno dei principali ostacoli del fare impresa…

“Secondo il rapporto Doing Business della Banca Mondiale, l’Italia si posiziona al 73esimo posto su 185 paesi per la facilità di fare impresa, ben al di sotto di concorrenti come Francia (34esima), Germania (20esima), Regno Unito (settimo) e Stati Uniti (quarti). Tra i fattori che più ci penalizzano rientrano proprio l’eccesso di adempimenti, la lentezza della pubblica amministrazione nel rilasciare autorizzazioni e gli elevati costi delle pratiche. Si tratta di una tassa occulta sulle imprese. Ogni anno i costi della burocrazia ammontano a 31 miliardi, il valore di una manovra economica. Nel nostro Progetto per l’Italia abbiamo indicato un pacchetto di misure di semplificazione e riorganizzazione della P.a. che prevedono la riduzione del numero di amministrazioni e la riallocazione delle funzioni in base al principio dell’unicità. Non è possibile che per il rilascio della stessa autorizzazione o per lo stesso controllo siano competenti in Italia decine di amministrazioni che tra loro non dialogano. Occorre poi rivedere le regole sui procedimenti per accelera i tempi e ridurre i costi. Confindustria ha presentato a maggio una serie di proposte dall’ambiente alle infrastrutture, dall’edilizia al fisco”.

E le riforme istituzionali?

“Occorre senz’altro riorganizzare l’amministrazione periferica dello Stato per assicurare  maggiore efficienza. A questo proposito è prioritaria la modifica del Titolo V della Costituzione. E’ necessario attribuire allo Stato competenze esclusive in materie di interesse nazionale e strategiche per lo sviluppo economico, come ad esempio le infrastrutture e l’energia.   Inoltre, sempre in un’ottica di razionalizzazione,  proponiamo di abolire le Province e di accrescere la soglia dimensionale dei piccoli Comuni (minimo 5.000 abitanti), nonché di sbloccare l’operatività della normativa sulle città metropolitane sospesa dalla Legge di stabilità per il 2013”.

Quando usciremo dalla crisi? Lei vede segni di ripresa?

”Al sesto anno di crisi, finalmente dopo aver toccato il fondo, si intravede “l’avvio della risalita” come ha rilevato il nostro centro studi. Ma l’economia reale è ancora molto provata. Ci vorrà tempo per tornare ai livelli pre crisi e non ci aspettiamo miracoli. E’ il momento di uno sforzo congiunto – della politica e delle imprese – affinché si ricrei un contesto favorevole alla crescita. Per questo è assolutamente necessaria una prospettiva di lungo termine e stabilità. Dobbiamo far lavorare questo governo”.