La tregua continua a produrre morti. Secondo i dati diffusi ieri da Hamas, 88 palestinesi sono stati uccisi e 315 feriti dall’inizio del cessate il fuoco. Israele ha restituito i corpi di altri 30 palestinesi: salgono a 195 i cadaveri consegnati durante quella che continua a essere definita “pace”. La tregua è un frigorifero che conserva solo il ritmo costante della morte. Gli aiuti, invece, marciscono fuori dai confini della Striscia: l’UNRWA denuncia circa seimila camion ancora in attesa di ingresso.
La Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ieri ha stabilito che Israele non ha fornito prove sui presunti legami tra UNRWA e Hamas e ha ordinato a Tel Aviv di consentire il passaggio degli aiuti, vietando l’uso della fame come arma di guerra. La risposta israeliana è stata di disprezzo: la sentenza è stata definita «vergognosa». Vergognosa, per loro, è la giustizia quando incrina il recinto dell’impunità.
Nel frattempo l’Occidente continua a recitare la liturgia della responsabilità condivisa. Il vicepresidente Usa Vance parla di un «compito difficile» nel disarmare Hamas, ma condiziona ogni ipotesi di ricostruzione alla resa. Netanyahu ribadisce che nessuna truppa turca metterà piede a Gaza: anche i carcerieri devono essere selezionati.
In Italia, Giorgia Meloni ha celebrato il piano Trump come un successo diplomatico e ha accusato le piazze solidali con Gaza di «cinismo» per aver trasformato la sofferenza in propaganda. C’è un ribaltamento morale quando chi sostiene una tregua che continua a produrre cadaveri si arroga il diritto di definire cosa sia etico.
Il concime delle bombe, della fame e di un genocidio a bassa intensità è il nostro silenzio. Per questo tutti gli occhi devono rimanere su Gaza.