Omicidio di Hind Rajab, l’inchiesta svela nomi e grado dei responsabili israeliani. In Italia resta chi minimizza

L’inchiesta identifica i militari responsabili dell’uccisione della bambina. In Italia restano l'eco del negazionismo

Omicidio di Hind Rajab, l’inchiesta svela nomi e grado dei responsabili israeliani. In Italia resta chi minimizza

«Hanno sparato fino a cancellare una voce bambina, poi hanno negato di esserci stati». Per quindici mesi, la storia di Hind Rajab è stata un campo di battaglia tra immagini che parlavano e dichiarazioni ufficiali che tacevano. Il 20 ottobre 2025 un’inchiesta di Al Jazeera ha chiuso il varco tra verità e negazione: l’ordine di fuoco contro l’auto con la bambina di sei anni e i suoi familiari, e contro l’ambulanza della Mezzaluna Rossa mandata a soccorrerla, viene attribuito al Maggiore Sean Glass della compagnia “Vampire Empire”, appartenente al 52° Battaglione della 401ª Brigata corazzata. La catena di comando conduce fino al tenente colonnello Daniel Ella, formalizzando una responsabilità che molti fingevano ancora di non vedere.

L’ordine di fuoco e la cronologia delle prove

Il caso era esploso il 29 gennaio 2024, quando Hind aveva implorato aiuto via telefono da un’auto crivellata a Gaza City. Dieci giorni dopo, i corpi della bambina, dei suoi familiari e dei due paramedici venivano ritrovati. Il 22 febbraio 2024 un’analisi forense di Al Jazeera mostrava i carri israeliani a pochi metri di distanza. A giugno, un’ulteriore ricostruzione stimava circa 335 colpi sparati contro il veicolo. Il 19 luglio 2024 l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani parlava di fatti «configurabili come crimine di guerra», chiedendo indagini indipendenti. Nel settembre 2025 il film “The Voice of Hind Rajab”, premiato a Venezia anche dalla Croce Rossa italiana, rilanciava il dibattito pubblico.

La versione israeliana smentita dai fatti

Le forze armate israeliane avevano inizialmente negato di avere avuto unità nell’area in quel momento. Tale versione è stata smontata da inchieste giornalistiche, prove visive e analisi geolocalizzate. Testimonianze indipendenti e fonti Onu hanno collocato i carri armati esattamente sulla traiettoria dell’auto e davanti all’ambulanza che si era avvicinata per il soccorso. Nel frattempo, la comunità internazionale rafforzava il quadro giuridico.

La Corte penale internazionale, tra maggio e agosto 2025, ha collegato episodi come quello di Hind all’accusa di attacchi deliberati contro civili e operatori umanitari. La Corte internazionale di giustizia, in una misura provvisoria, ha riconosciuto il rischio concreto di atti riconducibili alla fattispecie di genocidio. Il caso della bambina di Gaza è entrato così in un archivio giudiziario che non è più solo morale o mediatico, ma potenzialmente penale. Il silenzio o la minimizzazione non sono più posizioni neutre: diventano atti di adesione a uno schema narrativo utile a diluire le responsabilità.

Chi ha messo in dubbio in Italia

Mentre le prove si accumulavano, in Italia si consolidava un fronte politico e mediatico che respingeva la cornice giuridica entro cui episodi come quello di Hind venivano collocati. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il 6 e 7 agosto 2025, dichiarava che a Gaza «si stanno facendo cose inaccettabili, ma non è genocidio», definendo la parola «giuridicamente impropria». La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, a settembre 2025, parlava di attacchi «andati oltre la proporzionalità», definendo allo stesso tempo «infondati» gli esposti alla Corte penale internazionale che la accusavano di complicità nel genocidio. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, l’11 agosto, denunciava una perdita di «ragione e umanità» da parte di Israele senza aderire alla qualificazione legale di genocidio.

Anche le organizzazioni vicine a Israele hanno contribuito a rimuovere la parola che inquadra giuridicamente vicende come quella di Hind. Il 7 giugno 2025 il presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, definiva le piazze che parlavano di genocidio «a rischio antisemitismo». Nel luglio 2025 l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rilanciava le tesi difensive israeliane davanti alla Corte internazionale di giustizia contro l’accusa di genocidio.

Il tentativo di depotenziare la narrazione si è manifestato anche nella stampa. Il Foglio, tra il 5 e l’8 settembre 2025, in più editoriali, ha liquidato il film su Hind come un’operazione emotiva, ironizzando sulle reazioni del pubblico e concentrandosi sulla “shitstorm” in rete. Contemporaneamente, organizzazioni come Creative Community for Peace hanno diffuso in Italia campagne contro l’opera, accusandola di ignorare il 7 ottobre e gli ostaggi.

La nuova inchiesta chiude il cerchio: non solo l’attacco a Hind Rajab e ai soccorritori è stato documentato nei dettagli, ma la responsabilità è stata attribuita a una specifica unità militare. Le parole pronunciate nei mesi scorsi per negare la qualificazione dei fatti pesano ora come scelte consapevoli. Perché dubitare o derubricare diventa un atto politico quando la verità, infine, ha nomi e gradi.