L’Onu avverte la politica. Il pianeta non regge con tanto inquinamento. Allarme di 250 scienziati di 70 Paesi. Intere zone di Asia e Africa a rischio

L’Apocalisse non è poi così lontana. E pare avere un nome preciso: inquinamento

L’Apocalisse non è poi così lontana. E pare avere un nome preciso: inquinamento. L’allarme arriva da uno studio di 250 scienziati dell’Onu in cui si avverte che o si aumentano drasticamente le protezioni ambientali o città e regioni in Asia, Medio Oriente e Africa potrebbero vedere milioni di morti premature entro il 2050. Il danno al pianeta è talmente grave che la salute delle persone sarà sempre più minacciata a meno che non venga intrapresa un’azione urgente da parte della politica che, fino ad ora, al di là di annunci e accordi programmatici, non ha inciso su un problema che tocca indistintamente tutto il pianeta. Il rapporto, infatti, avverte anche che gli inquinanti nei nostri sistemi di acqua dolce possono essere una delle principali cause di morte.

L’allarme arriva dalla sesta edizione del Global Environmental Outlook, rapporto prodotto da scienziati ed esperti provenienti da oltre 70 Paesi e pubblicato mentre i ministri dell’Ambiente di tutto il mondo oggi si troverannno a Nairobi, in Kenya, per partecipare al forum ambientale di più alto livello. Il rapporto è la valutazione più completa e rigorosa sullo stato dell’ambiente realizzata dall’Onu negli ultimi cinque anni. Gli esperti – si legge in una nota – avvertono che gli inquinanti nei nostri sistemi di acqua dolce avranno un impatto anche sulla fertilità maschile e femminile così come sul neurosviluppo dei bambini.

Ed è anche per questa ragione che il rapporto, tra le altre cose, consiglia l’adozione di diete a basso contenuto di carne e la riduzione degli sprechi alimentari nei Paesi sviluppati e in via di sviluppo che ridurrebbero la necessità di aumentare la produzione alimentare del 50% per nutrire i 9-10 miliardi di persone previste nel 2050. Attualmente, avverte il report, il 33% del cibo commestibile globale viene sprecato e il 56% dello spreco avviene nei Paesi industrializzati. Il rapporto richiede anche un’azione per frenare ogni anno il flusso degli 8 milioni di tonnellate di inquinamento plastico che si riversano negli oceani.

“Il rapporto mostra che le politiche e le tecnologie esistono già per creare nuovi percorsi di sviluppo che evitino questi rischi e portino a salute e prosperità per tutte le persone – avvertono Joyeeta Gupta e Paul Ekins, copresidenti del gruppo di lavoro Geo-6 – Ciò che manca attualmente è la volontà politica di implementare politiche e tecnologie a velocità e livello sufficienti. La quarta assemblea ambientale delle Nazioni Unite a Nairobi a marzo deve essere l’occasione in cui i politici affrontano le sfide e colgono le opportunità di un futuro molto più luminoso per l’umanità”. Non a caso il dossier si sofferma a lungo anche proprio sul fatto che il mondo oggi dispone della scienza, della tecnologia e delle risorse economiche per muoversi verso un percorso di sviluppo più sostenibile. Sta alla politica cogliere l’occasione e imprimere una svolta a quanto fatto finora.

Tra coloro che sembrano aver colto il grido d’allarme lanciato dall’Onu c’è anche il ministro dell’Ambiente Sergio Costa che, proprio in vista della riunione di Nairobi, ha annunciato che premerà proprio sull’inquinamento di plastica nei mari, ovvero “sul marine litter, una battaglia che l’Italia sta portando avanti a livello nazionale, internazionale e che vuole portare a livello planetario”. Tra gli altri temi su cui insisterà particolarmente Costa c’è quello dell’economia circolare “che in Africa è molto sentito” e, soprattutto, il discorso relativo ai cambiamenti climatici, diretta conseguenza dell’inquinamento. E questo anche perché “l’Africa è un Paese ‘delicato’: è il continente che emette meno anidride carbonica ma anche quello che soffre di più”. Paradossi dell’industrializzazione.