Lavoro, tremano le intese: Renzi mette la fiducia

di Lapo Mazzei

Ecco, arrivati a questo punto della storia, uno dovrebbe pur avere il coraggio di dire al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che in Francia il governo si aspetta almeno “190.000 posti di  lavoro” grazie ai 10 miliardi di euro di sgravi fiscali alle imprese previsti dal patto di responsabilità. Certo, l’esecutivo guidato da Hollande è al suo minimo storico, tanto nei sondaggi quanto nel gradimento degli elettori, e di necessità deve fare virtù. Ma nonostante ciò il ministro del lavoro, François Rebsamen, nel corso di una audizione al Senato, ha ribadito che l’obiettivo dei 300.000 nuovi posti di lavoro entro il 2017 grazie a 20 miliardi di crediti di imposte, resta lì sul tavolo, essendo un  altro capitolo del patto di responsabilità. E da noi come vanno le cose? Renzi, parla di “Job Act” – con o senza la s – e nessuno ha ancora capito bene di cosa si tratti. Nonostante tutto ciò il decreto legge sul lavoro è arrivato in Aula. E siccome Renzi non vuol correre rischi, a partire da quelli connessi al confronto sull’impianto del provvedimento, il governo è stato costretto a mettere la fiducia (oggi il voto). La decisione è stata formalizzata dopo il vertice di maggioranza convocato in extremis in tarda mattinata e a cui hanno partecipato anche i ministri Giuliano Poletti e Maria Elena Boschi. È stata la stessa Boschi ad  ufficializzare la scelta, comunicando  la decisione all’Aula:  “Chiediamo il voto sul testo uscito dalla commissione senza articoli aggiuntivi e senza emendamenti”. La decisione, ovviamente, è figlia delle forti polemiche degli ultimi, innescate dal Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano e da Scelta Civica, ovvero dai  due principali alleati del Pd, contrari ai cambiamenti al dl originario approvati con gli emendamenti di venerdì. Le dure prese di posizione di alfaniani e montiani hanno evidenziato una frattura profonda all’interno della coalizione che sostiene Renzi, tanto da mettere in discussione la tenuta stessa dell’esecutivo. Le esternazioni degli alfaniani, le più pesanti del coro dei contrari, hanno determinato la necessità di fare chiarezza sulle diverse posizioni, costringendo Renzi a ricorrere ad uno dei riti della prima Repubblica: il vertice di maggioranza. L’incontro, però, non ha sciolto i nodi e tutto è rimandato all’Aula, dove oggi si gioca la vera partita.

Ncd e Sc si allineano
La fermezza dell’esecutivo sembra comunque avere portato i primi risultati: prima Scelta Civica poi l’Ncd hanno fatto sapere di essere pronti a votare a favore, annunciando però battaglia sui contenuti quando il testo approderà al Senato. Insomma, un bel modo di tenere alta la tensione, seguendo una chiara strategia elettorale. In particolare sono stati gli esponenti di Ncd ad usare toni perentori e a fare muro contro le modifiche introdotte. Fabrizio Cicchitto, ad esempio, ha detto chiaramente di esser pronto a non votare il decreto: “Al momento non c’è accordo sul decreto”. E non è stato da meno Maurizio Sacconi: “Chiediamo il ripristino sostanziale delle semplificazioni ai contratti a termine e di apprendistato perché siamo convinti che esse sono essenziali per incoraggiare la maggiore occupazione”. O, ancora, Roberto Formigoni: “Repetita juvant: il provvedimento sul lavoro  con gli emendamenti del Pd è invotabile, la fiducia Ncd non la vota”. Invece, alla fine,  la voterà.  A confermarlo è l’ex ministro, Nunzia De Girolamo: “Voteremo la fiducia alla Camera ma non rinunciamo a dare battaglia al Senato”. A Palazzo Madama i numeri sono più ristretti e quindi il potere contrattuale dei centristi potrebbe essere maggiore.

Aria tesa tra i dem
Ma Renzi dovrà fare i conti anche con i malumori interni al suo stesso partito. “C’è un grande dibattito sul decreto lavoro tra Ncd e Pd”, fa notare Pippo Civati, leader della minoranza interna al Pd, “il bello è che non vanno bene né la proposta dell’uno né il tentativo di mediazione dell’altro”. E ancora: “Il decreto non va bene comunque, peccato che si voglia insistere. Peccato si faccia tanto rumore per indebolire ancora di più i lavoratori più giovani”. In mattinata il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, era tornato a difendere il decreto: “Accelera il beneficio in termini di occupazione della ripresa che si sta consolidando”.  Per scoprirlo non resta che vederlo approvato. Così ognuno di assumerà le proprie responsabilità.