In tema di lavoro, si comincia a sentir parlare di certificazione della parità di genere. Ma di che si tratta? Di un utile ed innovativo strumento per agevolare l’inserimento delle donne nel mercato del lavoro o dell’ennesima procedura burocratica per poter dire di aver fatto qualcosa senza aver realmente cambiato nulla? Cominciamo con il ricordare la triste ragione per cui nasce: l’Italia non è un Paese per donne, o almeno per donne lavoratrici.
In tema di lavoro, si comincia a sentir parlare di certificazione della parità di genere. Ma di che si tratta?
Stando agli ultimi dati Istat fieramente squadernati in conferenza stampa dalle istituzioni il tasso occupazionale femminile è in crescita significativamente (+85.000 donne hanno trovato occupazione nel mese di marzo), ma si tratta troppo spesso di lavoro precario che non riduce il significativo gender pay gap e che mette la donna sempre difronte al solito dilemma: figli o professione? Genitorialità o autonomia economia? La certificazione allora dovrebbe spingere le aziende non solo a incrementare la percentuale di donne che operano al loro interno, ma a intervenire sulla qualità e sulle tutele del lavoro femminile.
In maniera del tutto discrezionale, in nome del quinto obiettivo del Pnrr, l’azienda può decidere o meno se certificarsi in cambio di sgravi fiscali che, con tasse da capogiro, fanno gola a chiunque. L’implicita penalizzazione della mancata adesione alla certificazione comporterebbe un danno per l’azienda in termini di rating e reputation, ma bisogna valutare quanto incidano sul profitto economico che nel cinico mondo del business regna sovrano.
In qualsiasi caso, le virtuose realtà che si predispongono a essere valutate dovranno soddisfare dei requisiti rispondendo a precise aree di valutazione: cultura e strategia; governance; processi HR; opportunità di crescita; equità remunerativa e tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Dovranno inoltre provvedere ad accreditarsi presso realtà che a loro volta dovranno essere accreditate (chi controlla il controllore?) attraverso un monitoraggio annuale e una verifica biennale.
Le direttive che muovono la certificazione che sarà attivabile dalla fine del 2022, prevede che si tenga conto dei seguenti punti: a) il rispetto dei principi costituzionali di parità e uguaglianza; b) l’adozione di “politiche e misure per favorire l’occupazione femminile e le imprese femminili, anche con incentivi per l’accesso al credito e al mercato ed agevolazioni fiscali”; c) l’adozione di «misure che favoriscano l’effettiva parità tra uomini e donne nel mondo del lavoro, tra cui: pari opportunità nell’accesso al lavoro, parità reddituale, pari accesso alle opportunità di carriera e di formazione, piena attuazione del congedo di paternità in linea con le migliori pratiche europee.
E ancora: d) la promozione di politiche di welfare a sostegno del lavoro silenzioso di chi si dedica alla cura della famiglia; e) l’adozione di misure specifiche a favore delle pari opportunità, in linea con quanto stabilito dall’articolo 3.2 della Costituzione (uguaglianza sostanziale); f) il principio dell’equità di genere nella normativa nazionale affinché la sua adozione volontaria diventi riferimento qualora fosse richiesto alle organizzazioni pubbliche e private di ogni settore e dimensione di certificare la sostenibilità e l’adozione di politiche di genere”.
Principi condivisibilissimi ed efficacemente compendiati che porteranno a una certificazione e a qualche sgravio fiscale, ma qualcosa mi dice – complice la storia del nostro Paese negli ultimi anni – che anche questa volta non cambierà molto.
Il meglio è nemico del bene ed è vero che anche un piccolo passo merita di essere compiuto, ma l’impressione è che cambiamenti forzati e “di superficie” non conducano mai alla rivoluzione culturale di cui abbiamo bisogno e che dovrebbe affondare le sue radici nella scuola (dove educare al rispetto della donna), nell’erogazione di servizi gratuiti (vedi asili nido), nella prevenzione del mobbing (frequente sul lavoro e non normato efficacemente). Come ben noto, occorre partire dalle fondamenta affinché una casa tenga.