Parte l’era Raggi a Roma: ecco la giunta a 5 Stelle. Ma la sindaca si è piegata a Grillo: il Movimento è già Partito. E ora rischia Di Maio

Parte ufficialmente l’era Raggi a Roma. Due cambi inaspettati in giunta. A riprova del fatto che Grillo ha influito e che le correnti interne hanno un peso.

Finalmente il grande giorno è arrivato. Da oggi parte ufficialmente l’era grillina nella Capitale. Già due giorni fa, in realtà, Virginia Raggi prima e Carla Ruocco poi, avevano rassicurato che la giunta era ormai completa. Ma ora si passa all’ufficialità del dream team pentastellato. E così, dopo la riunione ufficiosa di ieri, oggi saranno presentati al grande pubblico, nel corso della prima assemblea capitolina dell’era Raggi, i nomi che comporranno l’esecutivo di Roma per i prossimi cinque anni. Sciolti, dunque, i dubbi su nomi più caldi, a cominciare da quello di Marcello Minenna (ex Consob, acerrimo nemico di Giovanni Vegas) al Bilancio e di Daniela Morgante capo di gabinetto al posto di Daniele Frongia, cui verrà riservato il posto da vicesindaco, quasi certamente con la delega alla partecipate.

CAMBI DELL’ULTIMA ORA – Ci sono stati, in realtà, inattesi dietro-front nella giunta grillina. Nella lista della neosindaca Raggi non ci sono, infatti, Andrea Lo Cicero ed Enrico Stèfano. Come anticipato anche in mattinata da Repubblica e Corriere della Sera, infatti, l’assessorato allo sport andrà come delega al vicesindaco Daniele Frongia, mentre al posto dell’ex consigliere M5s in un primo momento assegnato ai trasporti è stata scelta Linda Meleo.

Eppure il campione della nazionale di rugby si è presentato alla prima riunione informale degli assessori del 6 luglio. Pare però che in serata la sua poltrona sia saltata. Hanno influito due elementi: le polemiche che lo hanno visto coinvolto ancora prima dell’insediamento e la necessità della Raggi di bilanciare le quote rosa. Lo Cicero è stato infatti criticato perché nella sua biografia definiva “roba da frocetti” le protezioni nello sport ed è stato protagonista di una lite con una giornalista de L’aria che tira su La7 davanti a casa.

La novità più significativa riguarda la casella dei Trasporti. All’ultimo minuto è stata infatti inserita Linda Meleo, ricercatrice in Economia della Luiss. Nessuna delega, dunque, per il 29enne Enrico Stefano, ex consigliere M5s.

CORRENTI INTERNE – La partita, però, a questo punto, si sposta inevitabilmente sul nazionale. E non potrebbe essere altrimenti. Perché l’affaire romano è la prova di un dato incontrovertibile: i 5 Stelle, checché ne dicano gli stessi parlamentari, stanno assumendo – legittimamente – tutti i crismi del sistema-partito. Insomma, Movimento sì, ma verso l’alto più che verso il basso, verticale più che orizzontale. A prescindere dalla validità delle scelte della Raggi (obiettivamente la nomina di Raffaele Marra era, in ottica pentastellata, alquanto discutibile), infatti, c’è voluto l’intervento diretto di Beppe Grillo che, a quanto pare, più di tanto non si è defilato se ha posto il diktat sul nome di Marra, facendo virare così le scelte della Raggi in altra direzione. Quel che resta in giunta, a questo punto, è una squadra certamente valida, ma da perfetto manuale Cencelli. È indiscutibile, infatti, che – per fare qualche esempio – il nome di Laura Baldassarre alle Poliche sociali sia sponsorizzato da Luigi Di Maio, così come quello di Enrico Stefano rientri nella cerchia di Alessandro Di Battista, mentre quello della Morgante (ex assessore anche con Marino) non è certamente un nome che dispiace all’ala delle pasionarie Roberta Lombardi e Paola Taverna.

SCONTRO AL VERTICE – E allora, nonostante Di Maio continui a bollare come “gossip” l’intervento a gamba tesa di Grillo nella partita romana, dietro c’è molto di più. Perché il cambio di rotta nella Capitale è un cartellino giallo non solo per la Raggi (una sorta di avvertimento “alla Pizzarotti”), ma anche per lo stesso Di Maio. Il vicepresidente della Camera, infatti, pur seguendo defilato le vicende romane, aveva dato la sua benedizione anche sui nomi di Frongia a capo di gabinetto e di Marra. La bocciatura di Grillo, insomma, è una bocciatura pure per il leader Di Maio. Che il delfino non sia più tale? Azzardato forse dirlo. Certo è ora che c’è gelo. E il silenzio dell’altro “pretendente”, Di Battista, la dice molto lunga, se si pensa che il pomo della discordia è proprio sulla “sua” Roma.