Vivesse oggi e non nel VII secolo avanti Cristo, Semonide di Amorgo poeta giambico, sarebbe letteralmente cosparso di insulti sui social o lapidato in pubblica piazza se, a cospetto di una società che oramai affronta giornalmente fra le sue questioni più delicate quelle relative a stalking, femminicidi e quote rose, ancora sostenesse che le donne appartengono a due categorie: quelle di terra, plasmate dagli dei minorate, pensano solo a mangiare e non distinguono il bene dal male, e quelle di mare, ondivaghe, inaffidabili, aggressive.
Stendendo un velo pietoso su quelle che derivano dagli animali, nel cui cesto zoo-antropologico le associazioni caratteriali alle peculiarità di scrofe, cagne e asine si sprecano. Eva Cantarella (nella foto), docente di diritto all’università di Milano, ci incanta e ci istiga in questo suo saggio, chiaro di fonti e di concetti, Gli inganni di Pandora (Feltrinelli, pagg. 85, euro 12) dove impariamo a non essere come al solito sussiegosi verso l’idea classica della polis greca democratica e polifonica, ma impariamo a vederla attraversata da ideologie striscianti dispotiche nei riguardi della differenza di genere, se non da inaccettabili (oggi) matrici politiche e pedagogiche incentrate su una donna decisamente subalterna, inferiorizzata, “naturalizzata” nelle sue mere funzioni riproduttive o di conforto al maschio, e finanche offesa nella sua complessità biologica poiché ridotta all’utero, ai cicli mestruali e al suo eccesso di “porosità”.
Donna ridotta a una funzione “passiva” per Aristotele, finanche nell’importanza del suo sangue rispetto allo sperma nel mettere alla luce un figlio, e condannata a essere comprimaria poiché dotata di una “ragione minore e imperfetta”. La fertilità, unica luce muliebre di tipo attitudinale, secondo il Platone delle Leggi, non esenta la donna dallo stigma di essere incline all’astuzia e alla disgregazione dei rapporti. E se l’uomo poteva avere oltre la legittima moglie anche etere e concubine per la cura del suo corpo e ogni forma di sfogo sessuale guarnito da fini dissertazioni filosofiche, alle donne di famiglia, dell’oikos, non era permesso alcun avvicinamento dal mondo esterno, men che meno una qualsivoglia infedeltà extraconiugale che autorizzava l’uomo a un vero e proprio omicidio riparatore per salvaguardare la reputazione del casato.
Anche lo stupro, diviso solo in tempi successivi dall’adulterio, non pensava alla dignità ferita di una innocente, ma solo al rischio di immagine e al consenso intorno al gruppo. Stereotipi tremendi, dunque, misoginie abominevoli che rendono la patria del pensiero e della civiltà occidentale anche ventre malato di discriminazioni che solo nei secoli hanno prodotto orrore nelle nostre coscienze.