È proprio vero: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Così, mentre il governo continua a vantarsi per i risultati sul fronte dell’occupazione, dall’ultimo bollettino del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) sul mercato del lavoro emerge un aspetto che merita di essere attenzionato. Il report difatti accende un faro su quelle che, in burocratese, vengono definite le “diverse traiettorie lavorative dei lavoratori e delle lavoratrici con contratto a termine”. Tradotto: il destino a cui vanno incontro i precari. Villa Lubin rileva che “tra il primo trimestre del 2024 e il primo trimestre 2025, le donne occupate a tempo determinato che rimangono occupate con lo stesso tipo di contratto sono il 73,5% dei casi.
Solo il 14% riesce a passare a un contratto a tempo indeterminato”. Insomma: una ‘trappola’ da cui sembra difficilissimo uscire. A ciò si aggiunge il fatto che “una quota non trascurabile esce dal mercato del lavoro: il 3,3% entra in disoccupazione e l’8,6% diventa inattiva”. Non va meglio agli uomini. A distanza di 12 mesi, il 71,1% di coloro che hanno sottoscritto un accordo a tempo determinato continua a lavorare con la stessa tipologia contrattuale; rispetto alle donne, una quota leggermente più ampia (16,3%) riesce a ottenere un contratto a tempo indeterminato. Una magra consolazione. “L’uscita dal mercato del lavoro – sottolinea ancora il report del Cnel – riguarda complessivamente l’11,4% degli uomini con contratto a termine: il 3,2% transita verso la disoccupazione e l’8,2% verso l’inattività”.
Ma è quando si parla della transizione dalla disoccupazione o dall’inattività all’occupazione che il naufragio delle politiche attive del lavoro viene certificato. Scrive infatti l’ente che, sempre nello stesso arco temporale, il passaggio dallo stato di disoccupazione a quello di occupazione riguarda solo il 19,2% degli uomini mentre il 36,3% permane nella disoccupazione; nella maggioranza dei casi (44,5%), gli stessi uomini hanno abbandonato il mercato del lavoro transitando nella categoria degli inattivi. Sul fronte femminile, altresì, diminuiscono le donne che passano dallo status di disoccupate a quello di occupate e – di contro – aumenta il tasso di transizione verso l’inattività che sale al 55% (+14,6%). In definitiva, conclude il Cnel, “si conferma una sorta di immobilismo nella condizione di inattività che, nell’arco di 12 mesi, ha visto permanere al proprio interno la quasi totalità delle donne (89,6%) e degli uomini (85,4%)”. Una strada senza uscita dove i proclami non bastano.