Portaborsette e scorte alla corte di Queen Elizabeth. La presidente del Senato ha iniziato il mandato ottenendo tre anni di vitalizio arretrato per il periodo in cui fu nominata al Csm

Doveva essere il “governo del cambiamento”. Ma a Palazzo Madama il cambiamento si è rivelato una restaurazione. In meno di due anni, come dimostra lo scandalo dei vitalizi, in Senato è tornata un’aria da prima Repubblica: gestione personalistica, manie di grandezza, sprechi e privilegi pagati dai contribuenti. Ormai molti senatori M5S lo dicono apertamente: votare Maria Elisabetta Alberti Casellati è stato un errore. Tanto più che Queen Elizabeth, come è chiamata a palazzo, non nasconde ambizioni più alte: diventare presidente della Repubblica. Domanda legittima: ha uno stile compatibile? Ha esordito accaparrandosi gli arretrati del vitalizio per i tre anni e spicci in cui è stata membro laico del Csm malgrado il divieto di cumulo con lo stipendio e la bocciatura del suo primo ricorso. La sentenza che ha permesso il miracolo è arrivata – caso strano – proprio dopo che è divenuta presidente del Senato: un regalo sui 200mila euro netti.

BODYGUARD E PORTACUSCINO. Queen Elizabeth ha il portaborsette. E il portacuscino. Il suo Personal Secretary, Teodoro Fortunato, le regge la borsetta perfino in vacanza alla Maddalena, dove la Marina militare le ha messo a disposizione la residenza dell’Ammiragliato. Il portacuscino è invece un carabiniere della scorta, pronto a offrirle l’elegante accessorio ogni volta che abbisogna di comodità. Non c’è memoria, al Senato, di un presidente che gira per gli uffici con i bodyguard. Ma la Casellati ha voluto un nutrito gruppo di carabinieri a vigilare su palazzo Madama e su palazzo Giustiniani, dove l’appartamento di rappresentanza ospita lei, i suoi cari e la sua mondanità (vettovaglie, cuochi e colf sono a carico del Senato).

Per le sue uscite ha preteso pure due motociclisti che precedono l’auto blindata, pronti a bloccare il traffico. Come fosse già presidente della Repubblica. I giornalisti non le piacciono. Soprattutto se scomodi. Ai cronisti del Fatto, in dicembre, ha scritto a casa minacciando azioni legali. Ma peggio è andata a Roberta Polese, cronista padovana che nel 2010 ha osato scrivere che suo genero, Marco Serpilli, aveva avuto una cospicua consulenza dall’Arpa Veneto: la Casellati ha chiesto 250mila euro di danni. I giudici le hanno dato torto ma la Polese, disoccupata e con due figli, ha dovuto pagare metà spese legali per evitare l’appello.