Premierato, il treno della stabilità deraglia a Parigi: la crisi politica in Francia è un allarme anche per la riforma del governo Meloni

Il premierato non garantisce la stabilità. La crisi del semi-presidenzialismo francese è un allarme per la riforma del governo Meloni

Premierato, il treno della stabilità deraglia a Parigi: la crisi politica in Francia è un allarme anche per la riforma del governo Meloni

In Francia, dove il presidente viene eletto direttamente dal popolo, il sistema è paralizzato. Dopo le elezioni anticipate del 2024, l’Assemblea nazionale è divisa in tre blocchi inconciliabili. Emmanuel Macron ha bruciato in pochi mesi tre governi, l’ultimo durato appena quattordici ore. Il nuovo premier Sébastien Lecornu, rinominato per trovare un equilibrio impossibile, si è già ritrovato sotto minaccia di sfiducia. Il bilancio 2026 rischia di saltare e i mercati si preparano a prezzare l’instabilità. È la dimostrazione empirica che l’elezione diretta del capo dello Stato non garantisce la governabilità.

L’architettura semi-presidenziale francese, che da sessant’anni affascina i fautori del “capo scelto dal popolo”, si regge sulla stessa promessa che Giorgia Meloni ha scolpito nella riforma del premierato: stabilità e trasparenza, anche se in questo sarebbe il primo ministro ad essere eletto direttamente. Ma la Francia mostra cosa accade quando il voto non produce maggioranza: il vertice resta forte solo sulla carta, i governi si logorano sulle fiducie e le leggi si negoziano pezzo per pezzo. Non è un incidente: è la natura di un sistema che personalizza il potere e, insieme, dipende interamente dall’aritmetica d’Aula. Senza cultura di coalizione e senza una legge elettorale che costruisca maggioranze praticabili, la promessa si svuota.

Il governo italiano sostiene che l’elezione diretta del premier «favorirà la stabilità per cinque anni». Lo ha ripetuto Meloni il 3 novembre 2023, presentando la riforma come «madre di tutte le riforme». Maria Elisabetta Alberti Casellati, ministra delle Riforme, ha ribadito che il premierato sarà «leva economica e garanzia di stabilità». Antonio Tajani ha aggiunto che «non toglie poteri al Quirinale, ma rafforza la governabilità». E Carlo Nordio lo ha definito «strumento per evitare crisi e ribaltoni». Intanto, a Parigi, la Quinta Repubblica convive con mozioni di censura seriali e governi lampo.

Una riforma ferma, una lezione ignorata

Dopo la dissoluzione dell’Assemblea voluta da Macron nel giugno 2024, nessun partito ha superato il 30 per cento. Il Nuovo Fronte Popolare guida un’opposizione compatta; la coalizione presidenziale Ensemble è minoranza; il Rassemblement National ha trasformato ogni voto in un plebiscito contro l’Eliseo. L’uso del 49.3 ha sfiancato i rapporti; Lecornu ha promesso di non ricorrervi, ma il Parlamento resta ingovernabile. La Banca di Francia stima un freno alla crescita dovuto all’incertezza; i quotidiani economici parlano apertamente di crisi strutturale del semi-presidenzialismo. La politologa Mabel Berezin lo riassume: personalizzazione senza maggioranze solide genera scontri e governi a termine.

A Roma, la riforma Casellati è ferma alla Camera. Dopo l’approvazione al Senato nel giugno 2024, l’iter si è arenato tra audizioni e rinvii. Il referendum evocato a ogni comizio è scivolato ai margini dell’agenda politica. Eppure, la narrazione resta identica: «stabilità», «mandato chiaro», «fine dei ribaltoni». La realtà francese dice altro. L’elezione diretta non elimina la frammentazione, la rende solo più visibile; non spegne i veti, li sposta; non semplifica la democrazia, la concentra in un vertice che poi deve comunque cercare i numeri in Parlamento. Il risultato è un cortocircuito: un capo forte senza maggioranza è un capo debole.

Il presidenzialismo – nel caso della riforma italiana il premierato – non è una scorciatoia, è un moltiplicatore di responsabilità. In Francia, oggi, non si riesce a varare con certezza un bilancio; in Italia, basterebbe guardare oltre le Alpi per capire che «stabilità per legge» è uno slogan, non un progetto istituzionale. Se davvero l’obiettivo è la governabilità, il punto non è il nome sulla scheda, ma la capacità di costruire alleanze, regole e rappresentanza che riducano l’attrito. Tutto il resto è promessa a costo zero, smentita dai fatti. E forse anche dalle reali intenzioni della maggioranza, visto che la riforma è ferma da mesi e viaggia tutt’altro che spedita.