Pressioni per non chiudere Alzano. Il Pirellone torna nel mirino dei pm. Gli industriali temevano il crollo economico. E si sono attivati per impedire il lockdown con Fontana

Dopo l’audizione di Giuseppe Conte, Roberto Speranza e Luciana Lamorgese sulla mancata zona rossa di Alzano Lombardo e Nembro, in molti giuravano che l’inchiesta non avrebbe più riguardato il Pirellone. Peccato che le cose sembrano dire il contrario tanto che l’inchiesta, in queste ore, starebbe virando sull’operato del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana e dell’assessore al Welfare, Giulio Gallera, per la gestione dell’emergenza Covid-19 nella bergamasca. Per la precisione sta prendendo corpo una nuova ipotesi di lavoro da parte della Procura di Bergamo, diretta dal procuratore facente funzioni Maria Cristina Rota, che punta il dito sul presunto pressing degli industriali nei confronti del Governo e, soprattutto, della Regione Lombardia, al fine di scongiurare il blocco dell’area in cui si registra un fatturato di 680 milioni.

LA TESI DEL PRESSING. Con un giro d’affari simile, è chiaro che l’ipotesi di chiudere la zona è stata indigesta agli imprenditori. Per questo sospettano i magistrati, i titolari e i dirigenti di fabbriche, come anche le associazioni di categoria, si sarebbero attivati con la politica per scongiurare quello che già appariva come un lungo stop. Istanze che, ecco il sospetto dei pm, avrebbero avuto un effetto sui vertici del Pirellone. Un teorema tutto da dimostrare per il quale, già lo scorso 3 giugno, è stato sentito in Procura anche il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti, in qualità di persona informata sui fatti.

Occasione, quella, in cui i magistrati hanno chiesto al manager se ci fossero state o meno pressioni in merito alla possibile zona rossa di Alzano e a cui l’uomo avrebbe risposto negando categoricamente senza negare, però, che gli industriali erano contrari all’eventuale provvedimento. Parole ribadite anche ieri quando Bonometti, sentito da La Stampa, è tornato sul punto per precisare: “Ammesso e non concesso che noi industriali abbiamo fatto pressioni per tenere aperte le aziende, al dunque siamo rimasti impotenti davanti alle scelte della politica”.

GOVERNATORE NEL CAOS. Ma ad imbarazzare il Pirellone non ci sono le sole pressioni subite. Da tempo, infatti, il governatore leghista non fa altro che scaricare ogni responsabilità sul governo ma le cose, stando a quanto emerge dall’audizione del premier, non starebbero affatto così. Davanti ai magistrati, Conte ha spiegato che in quei giorni frenetici “avevo ricevuto dalla Lombardia la richiesta di prorogare la zona rossa a Codogno, ma mai mi fu chiesto di includere nell’area interdetta anche Alzano e Nembro” asicurando anche che “quando abbiamo fatto le nostra valutazioni le abbiamo condivise con la Regione”. Una circostanza conferma dal fatto che agli atti dell’indagine non risultano richieste formali presentate dal Pirellone.

Quel che è certo è che la vicenda resta ancora ingarbugliata tanto che il procuratore Rota intende incrociare le dichiarazioni dei testimoni con altre che verranno rese nei prossimi giorni quando a comparire davanti ai pm saranno dirigenti sanitari e medici attraverso le quali si cercherà di stabilire l’eventuale esistenza del nesso causale, ossia fino a che punto la mancata chiusura abbia aggravato l’epidemia e cosa sarebbe successo se già ai primi di marzo fossero stati blindati i confini dei comuni. Successivamente bisognerà capire se la scelta di Regione e governo sia stata politica, quindi insindacabile, o se si sia trattato di un atto amministrativo che consentirebbe di ipotizzare un’ipotesi di reato.