Quando l’antimafia ammazza le imprese

Di Sergio Patti

La mafia è un cancro del Paese. Ma c’è un’antimafia che a volte sa fare persino più male allo Stato e alle imprese. Perché una legislazione nata per contrastare giustamente il malaffare nelle attività economiche si sta trasformando in un gigantesco strumento discrezionale in mano alle Procure. Giudici che da controllori diventano arbitri dei mercati, mettendo con sempre maggiore facilità nello stesso calderone società frutto di proventi illeciti e grandi gruppi industriali. L’effetto è di scoraggiare ulteriormente le imprese sane che lavorano in alcune aree del Paese, con il sud in particolare, e di far fuggire consistenti investimenti. La vicenda più recente è quella dell’Italgas. Ma non si tratta di un caso isolato.

Tutti mafiosi
Lo storico marchio dell’energia è stato messo a metà luglio in amministrazione straordinaria perché accusato di aver affidato coscientemente appalti ad aziende ritenute vicine a Cosa nostra. Ora, poiché Italgas è un’impresa che fa capo alla Snam, e dunque alla Cassa Depositi e Prestiti e all’Eni, e dunque in ultima istanza all’azionista di controllo – cioè lo Stato – ritenerne gli amministratori contigui alla mafia (tanto da dover essere sostituiti) significa accusare tutta la catena di controllo – compreso dunque lo stesso azionista – di essere quanto meno complice. L’inchiesta, nata da una costola di un’indagine sul riciclaggio dei beni dell’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino è ancora in corso, ma intanto Italgas – che gestisce opere per centinaia di milioni – è bloccata perché tra centinaia di appalti uno è finito a una società sospetta. In gioco c’è un contratto che non supera il valore di 8 milioni (un’inezia nel giro d’affari del colosso del metano) ma tanto è bastato ai giudici per bloccare non solo il contratto nel mirino bensì l’intera amministrazione dell’azienda.

Nord e Sud
Da Palermo a Venezia, la storia si ripete con un altro colosso – questa volta delle costruzioni – finito nel tritacarne delle imprese accusate di rapporti con la ‘ndrangheta. Il gruppo è Rizzani de Eccher Spa, finito l’8 luglio scorso al centro di una informativa interdittiva antimafia. Un provvedimento che avrebbe potuto mettere in difficoltà gravissime la società se non fosse immediatamente arrivata una sospensione da parte del Tar del Veneto, in seguito al ricorso presentato dagli avvocati Andrea Gemma e Angelo Clarizia. Un decreto cautelare che fa paura per la determinazione con la quale i giudici amministrativi bocciano l’azione contro questa azienda, fondata – è scritto nel decreto – “non su fatti concreti ma su un orientamento aprioristico di inibizione dell’attività economica svolta dal gruppo”. Come dire: a prescindere dalle prove dell’accusa, la decisione presa a monte è che questa azienda non può lavorare. Una mostruosità non solo dal punto di vista del Diritto.

Poca cautela
E dire che la vicenda in cui è finita la de Eccher avrebbe dovuto imporre più cautela, visti i precedenti macroscopici errori giudiziari. Era il 1991 quando agli albori della stagione di Tangentopoli i due fratelli Marco e Claudio De Eccher, azionisti della società, furono arrestati. L’inchiesta però finì in una bolla di sapone e i due imprenditori furono scagionati, patteggiando senza mai riconoscere la loro responsabilità in alcuni reati minori. Claudio de Eccher, che si era fatto due mesi di carcere è stato persino risarcito per l’ingiusta detenzione (in realtà però dopo oltre dieci anni lo Stato deve ancora erogare le somme dovute). Ciò nonostante il nome della de Eccher è tornato in un’informativa interdittiva antimafia, questa volta del prefetto di Venezia. Come nel caso di Italgas, l’accusa parte da una delle società controllata dalla capogruppo. Si tratta della Saicam Spa, azienda di restauri rilevata da un’amministrazione straordinaria dopo il sostanziale fallimento. Tra i lavori di questa impresa ci sono opere delicatissime come il recupero delle fondazioni del Campanile di San Marco. Saicam è tra i costruttori di un importante complesso nei pressi di Trieste: Porto piccolo Sistiana. All’inizio dei lavori la società pensò bene di cautelarsi consegnando alle autorità di pubblica sicurezza l’elenco dei fornitori, delle ditte appaltatrici e dei loro dipendenti. Una misura preventiva che a distanza di anni è stata utilizzata contro l’impresa. Nell’elenco infatti figurano aziende che solo adesso sembrano poter avere legami con la ‘ndrangheta calabrese. Da qui il provvedimento antimafia.

Sberla alle aziende
L’informativa interdittiva è una misura a carattere preventivo che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti di soggetti che hanno rapporti con la pubblica amministrazione e che si basa sugli accertamenti compiuti, nel caso specifico, dal gruppo interforze, dalla Prefettura di Udine e poi da quella di Venezia con conseguenze pesantissime per un’impresa che, additata come criminale per presunte contiguità con organizzazioni malavitose, subisce il recesso delle stazioni appaltanti pubbliche, il sostanziale blocco dell’operatività bancaria, oltre a un danno di immagine. Per il tar del Veneto (presidente Claudio Rovis) però, “se è vero che l’informativa antimafia tipica è espressione della logica anticipazione della soglia di difesa sociale nei confronti della criminalità organizzata, è altresì vero che deve comunque sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza mafiosa”. E l’informativa contestata, “dove si sostiene che l’acquisto della Saicam Spa da parte di Rizzani de Eccher non avrebbe carattere esclusivo di operazione di investimento finanziario, ma si spiegherebbe con la volontà di acquisire in via diretta la gestione dell’esecuzione di grandi opere pubbliche in settori sensibili alle infiltrazioni mafiose” non trova riscontro – scrive sempre il Tar – in alcun fatto concreto.

Meglio lavorare fuori
La vicenda di Rizzani de Eccher in Veneto, come quella dell’Italgas in Sicilia, sono pertanto sintomatiche di una giustizia che blocca con forse troppa facilità le imprese. Finendo per fare un danno enorme all’intera economia del Paese. Non è un caso, infatti, se gruppi come de Eccher, con un portafoglio di 3 miliardi e 400 milioni, oggi fa l’80 per cento del fatturato all’estero e solo il resto in Italia. Percentuali molto cambiate rispetto al passato, quando gran parte del giro d’affari che adesso è oltre confine era registrato al centro e al sud Italia. D’altra parte, di fronte a procedure tanto discrezionali da poter fermare anche senza elementi adeguati le attività economiche, è naturale che gli imprenditori cerchino ambienti dove svolgere il loro lavoro con meno rischi. Qui d’altronde i pericoli per chi si muove negli appalti pubblici sono all’ordine del giorno. Così il nome della stessa Saicam è finito nelle ottocento e passa pagine dell’ordinanza di custodia cautelare del Mose sia per presunti rapporti con il Pd del sindaco Giorgio Orsoni, sia per altrettanto presunti legami con l’ex presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan. Vicenda questa per la quale però non risultano indagati né in Saicam né all’interno del gruppo che l’ha assorbita. Un faro acceso dietro l’altro, come nel marzo scorso, quando la polizia entrò nel cantiere per la realizzazione del nuovo carcere di Rovigo contestando presunte irregolarità nelle certificazioni antimafia. Sospetti su sospetti che spesso diventano una costante per le imprese che lavorano. Finendo per danneggiare in modo irreparabile l’immagine delle aziende e di chi ci lavora.

Troppo complottismo
Pur in presenza di un’avanzata della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici, il complottismo a cui si stanno lasciando andare molte volte le Direzioni Investigative Antimafia, soprattutto quando non c’è la possibilità di verificare in contraddittorio le attività investigative, stanno minando quel che rimane di un sano tessuto imprenditoriale italiano. Il rischio è che con l’esplodere dei casi legati all’Expo o al Mose, finiscano nello stesso calderone aziende che nulla hanno a che spartire con le mafie. Situazioni nelle quali la discrezionalità dei magistrati diventa centrale. Determinando il successo o l’insuccesso dell’impresa indipendentemente dalle capacità e dalle qualità tecniche. Aziende esposte al vento della crisi, della concorrenza e degli orientamenti delle Procure. Forse un po’ troppo anche per i gruppi più sani.