Quel costoso viavai a Bruxelles. L’Agea spende e spande per la sua sede all’estero. E i fondi trasferiti dallo Stato all’agenzia crescono da 130 a 155 milioni

di Stefano Sansonetti

La domanda da cui partire è semplice: nel 2016, in epoca di crisi economica che non arretra e di sempre più strombazzata spending review, ha ancora senso per le pubbliche amministrazioni nostrane avere una sede a Bruxelles? Quesito anche più urgente se si tiene conto che queste sedi costano non poco, tra stipendi e affitti, e che già esiste una rappresentanza permanente italiana presso l’Ue in teoria deputata a perorare le istanze italiane a Bruxelles. Si prenda il caso dell’Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, ente che gestisce circa 6 miliardi di fondi Ue destinati ai nostri agricoltori. Parliamo di un organismo che succhia 155 milioni di euro pubblici e che nel 2014 ha chiuso il bilancio con un disavanzo sostanziale di amministrazione da 37 milioni di euro (anche se sotto il peso di poste come cause legali, pignoramenti e Tfr). Ebbene l’Agea, che è sottoposta alla vigilanza del ministero delle politiche agricole guidato dal Pd Maurizio Martina, ha un ufficio a Bruxelles che tra stipendi e affitti costa circa 260 mila euro l’anno (almeno questi erano i valori nel 2014). La locazione degli spazi nella capitale belga, in particolare, costa 44 mila euro l’anno. Con tasse, servizi di pulizia e rimborso spese telefoniche si arriva a un totale di 85 mila euro. Poi ci sono due funzionari Agea addetti a questo ufficio, i cui stipendi in totale pesano per 172 mila euro.

IL QUADRO
Ora, in realtà c’è un altro motivo che spinge a chiedersi se questa rappresentanza estera sia necessaria. Ancora oggi, per esempio, è in corso una procedura con cui Bruxelles contesta all’Agea la mancanza di adeguati controlli nell’accoglimento delle domande di finanziamento da parte degli agricoltori del Belpaese. Se il procedimento dovesse concludersi in modo negativo, l’Italia rischierebbe di perdere 389 milioni di fondi europei. La sanzione, in questi casi, si traduce infatti in una decurtazione dei trasferimenti dall’Ue. E visto che non è certo la prima volta che l’Agea viene colpita in tal senso, c’è da chiedersi se la struttura a Bruxelles funzioni nella dovuta maniera. Naturalmente La Notizia ha chiesto lumi sulla situazione al direttore dell’Agea, ovvero Stefano Antonio Sernia. Il quale, nominato da Martina nel 2014, ha ereditato gran parte dei problemi di un ente che sta cercando di recuperare un percorso virtuoso. Secondo Sernia l’ufficio Agea a Bruxelles è indispensabile “perché svolge una fondamentale attività istituzionale nella fase regolamentare”. Inoltre è indispensabile perché “dopo il cambiamento della politica agricola comune abbiamo bisogno di parlare con le direzioni competenti”. Ma tutto questo non potrebbe passare per la rappresentanza permanente dell’Italia a Bruxelles? “No”, aggiunge Sernia, “perché la nostra materia è complessa e specifica, e non sarebbe possibile affidarsi ad altri funzionari”. Ad ogni buon conto dall’Agea non si riesce a capire bene se i costi dell’ufficio di Bruxelles siano nel frattempo stati razionalizzati. Quello che emerge è che l’Agenzia ha risparmiato 1 milione sugli affitti pagati per la sede di Roma (in precedenza erano due).

GLI SVILUPPI
Rimane il fatto che l’Agea continua a pesare molto sul bilancio pubblico. Se nel 2014 i trasferimenti dallo Stato erano stati di 130 milioni, nel 2015 siamo arrivati a 155 milioni. I vertici ritengono la cifra indispensabile per far funzionare l’Agenzia e non andare in disavanzo. Ma gli interrogativi rimangono tutti sul piatto. Come quelli relativi alla due società controllate dall’Agea, ossia Agecontrol Spa e Sin Spa. La prima effettua controlli sui prodotti agricoli (per un costo di 20,8 milioni di euro), la seconda gestisce il Sistema informativo agricolo nazionale con un gruppo di società private come Ibm, Telespazio, Sofiter e Almaviva. Un sistema che, emerge dal bilancio, costa 78,7 milioni. Cifre importanti, in parte già tagliate, in parte in crescita. Ma in epoca di spending review bisogna stare attenti a come si spende anche un centesimo di denaro pubblico. Che sia a Roma o a Bruxelles.

Twitter: @SSansonetti