Lungaggini burocratiche, veti incrociati, il protagonismo di certi amministratori locali. Per non parlare dei movimenti contrari a certe opere pubbliche. La complessità delle regole, nonostante gli sforzi per semplificare, resta il maggiore ostacolo delle imprese italiane, che infatti sempre più spesso scappano verso i mercati esteri “ritenuti più dinamici e in espansione”, dice a La Notizia Giandomenico Ghella, presidente del comitato estero e vicepresidente dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili). “Gli imprenditori si rendono conto che in Italia non ci sono più grandi occasioni di sviluppo e per fare nuovi investimenti” e “la colpa è prima di tutto della burocrazia”. In generale, “a confronto con il nostro Paese, in quasi tutto il resto del mondo è più semplice investire”. Circostanza che emerge anche dall’ultimo rapporto dell’associazione presentato ieri a Roma. Nel 2015, il fatturato prodotto oltreconfine dalle nostre imprese è cresciuto del 14,5% (+286% rispetto al 2004), mentre nel mercato nazionale le stesse hanno fatto registrare un calo del 24,3%.
Cosa blocca il mercato interno?
Innanzitutto esiste un problema di volontà politica. Negli altri Paesi se ci sono i progetti e ci sono gli investimenti i lavori partono. In Italia, al contrario, l’unione di questi due fattori non è una condizione sufficiente. Basta che un amministratore locale si metta di traverso per bloccare l’intera catena. Per non parlare poi di No-Triv, No-Tav eccetera.
Insomma, è colpa dei sindaci e dei governatori se il Paese non riparte?
È un problema di burocrazia. Dove con questo termine si intende la capacità di fermare i progetti che è in mano agli enti locali. Anticamente in alcune zone banditi e briganti fermavano i viaggiatori impedendo il passaggio delle carrozze. Oggi invece quelli che vengono stoppati sono i lavori pubblici e le infrastrutture. Non è cambiato granché.
Il premier Matteo Renzi ha etichettato la burocrazia come “il nostro grande avversario”. Il Governo, ha aggiunto, “è in prima linea perché possa essere finalmente aggredita”. A che punto siamo?
Da parte nostra c’è un apprezzamento per le iniziative del Governo, anche se il lavoro fatto finora non è sufficiente. Non siamo più ultimi in Europa per cooperazione e sviluppo ma ci attestiamo al terzultimo posto: è ovvio che bisogna ancora migliorare. Le limitazioni della finanza pubblica però non ci aiutano.
Nel 2015 le imprese italiane hanno conquistando 11 nuovi mercati, fra i quali Germania, Indonesia e Montenegro. C’è una realtà che più delle altre permette di investire con maggiore facilità?
In generale, a confronto con il nostro Paese, in quasi tutto il resto del mondo è più semplice investire. Ci sono realtà come l’India o il Brasile dove l’apertura dei mercati ha permesso maggiori possibilità di sviluppo. Chi decide di guardare al mercato italiano, di contro, si trova a fare i conti con mille paletti che alla fine disincentivano qualsiasi possibilità di intervento.
Visto l’elevato tasso di corruzione presente in Italia, non c’è il rischio che un’eccesiva sburocratizzazione possa favorire interessi illeciti?
Al contrario. A mio avviso, meno poteri di veto ci sono in un processo decisionale e più è difficile che la corruzione possa essere protagonista.
Lei si è schierato a favore della riforma costituzionale. Perché?
Perché c’è bisogno di un Paese più semplice. Da qualche parte bisogna partire: questa riforma non è perfetta, ma la revisione del Titolo V è un passo importante per imboccare la strada giusta.