Raid americano sull’aeroporto di Bagdad. Ucciso il generale Soleimani, uomo chiave del regime iraniano in Medio Oriente. L’attacco ordinato direttamente da Trump

Un raid americano sull’aeroporto di Bagdad ha causato la morte di 8 persone tra cui il generale Qassem Soleimani, uomo chiave del regime degli ayatollah. L’ordine di colpire è stato impartito direttamente dal presidente Donald Trump.  Trump sul proprio profilo Twitter ha commentato l’attacco pubblicando una bandiera statunitense, senza aggiungere nessuna frase. “L’atto di terrorismo internazionale degli Stati Uniti – ha scritto su twitter il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif – con l’assassinio del generale Soleimani, la forza più efficace nel combattere il Daesh, Al Nusrah e Al Qaida, è estremamente pericolosa e una folle escalation. Gli Stati Uniti si assumeranno la responsabilità di questo avventurismo disonesto”.

L’ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad, in seguito all’attacco, ha sollecitato i cittadini americani a “lasciare l’Iraq immediatamente”. “I cittadini americani partano per via aerea dove possibile, altrimenti raggiungano altri paesi via terra”, sottolinea l’ambasciata Usa in una nota. La Nato “monitora la situazione in Iraq”, ha detto un portavoce dell’Alleanza atlantica, precisando che la Nato mantiene una presenza limitata in Iraq per addestrare le forze di sicurezza del governo e l’alleanza e non è stata coinvolta nell’attacco a Soleimani. “Seguiamo da vicino la situazione nella regione e restiamo in stretto e regolare contatto con le autorità Usa”, ha precisato Dylan White.

“Il ciclo di violenza, provocazioni e ritorsioni a cui abbiamo assistito in Iraq nelle ultime settimane deve finire. Un’ulteriore escalation deve essere evitata a tutti i costi”, afferma, invece, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel che mette in guardia dal “rischio di un riacutizzarsi generalizzato della violenza in tutta la regione e dell’ascesa di forze oscure del terrorismo che prosperano a volte di tensioni religiose e nazionaliste”, in quanto l’Iraq rimane un paese molto fragile”. Michel sottolinea inoltre che “troppe armi e troppe milizie stanno rallentando il processo verso un ritorno alla normale vita quotidiana dei cittadini iracheni”.