“L’incontro ci sarà. Poi l’eventuale passaggio è molto più complicato… E non ci sarà adesso, se mai ci sarà…”. Così ieri Sigfrido Ranucci ha confermato a La Notizia le voci che lo danno quantomeno interessato a salutare la Rai per approdare a La7. A far scoppiare il caso, i contatti sempre più intensi tra il conduttore (chissà ancora per quanto) di Report e l’editore de La7 (nonché del Corriere della Sera) Urbano Cairo.
In autunno i due si vedranno. Ufficialmente per parlare della pubblicazione del prossimo libro di Ranucci, nato sull’onda del successo del volume ‘La Scelta‘ (uscito l’anno scorso per Bompiani), sorta di sequel, che dovrebbe affrontare il tema della libertà di stampa. Tuttavia in molti hanno visto nel faccia a faccia il tentativo dell’editore di strappare il giornalista a viale Mazzini.
Un addio del quale si parla da tempo
Di un possibile approdo a La7 di Ranucci se n’è parlato più volte, durante l’estate, anche a seguito degli apprezzamenti manifestati da Cairo nei suoi confronti (tra l’altro per lui già lavora da anni Milena Gabanelli, madre di Report e maestra di Ranucci). Ma a rendere il salto di canale più che possibile è soprattutto la vita impossibile alla quale TeleMeloni costringe da tempo il giornalista, impegnato ogni sacrosanto giorno in una battaglia difensiva contro il proprio editore. Un paradosso.
Gli sfregi di TeleMeloni a Ranucci
Basta ricordare che solo nell’ultima stagione Ranucci si è visto tagliare il budget, sforbiciare il numero di puntate, tagliare le repliche, togliere il diritto di firma sulla gestione amministrativa di Report, sottrarre i collaboratori, ricevere una direttiva che impedisce ai dipendenti Rai di commentare ciò che avviene in Rai anche sui propri social personali e si è visto bloccare l’avvio del lavoro della nuova stagione fino a giugno inoltrato.
E, tra le tante provocazioni e i tanti sfregi subiti dai vertici meloniani della Rai, quello che avrebbe fatto più adirare il giornalista è il fatto di non aver potuto ‘difendere’ la propria squadra di lavoro, dopo l’accordo tra Rai e sindacati sulla stabilizzazione di 200 giornalisti da inviare alle Tgr, tra i quali anche molti dei precari che negli ultimi anni sono stati in forze alla redazione di ‘Report’.
Ennesimo impoverimento per Rai3
E la prima reazione al possibile addio di Ranucci arriva proprio dal Cdr del TG3 – la rete che con Meloni ha subito i tagli maggiori, crollando negli ascolti -. “Le giornaliste e i giornalisti del Tg3 apprendono con preoccupazione del possibile addio di Ranucci alla Rai”, si legge nel comunicato sindacale, “Sarebbe l’ennesimo e gravissimo episodio di impoverimento della nostra azienda e, in particolare, della nostra Rete la cui identità è stata già ampiamente erosa negli ultimi anni. Pretendiamo dall’azienda che faccia tutto il possibile per dare al nostro collega e alla sua squadra le migliori condizioni di lavoro possibili, salvaguardando spazi di libertà e indipendenza, elementi essenziali della vita democratica del Paese”.
Fnsi: “Quella di Ranucci sarà l’ennesima uscita spintanea”
“Nei confronti di Ranucci e della redazione di Report è stata adottata una strategia ben precisa: non potendolo licenziare, i vertici della Rai hanno compiuto una quotidiana opera di interdizione al suo lavoro”, accusa il presidente della Fnsi, Vittorio Di Trapani, “Invece di agevolare (come sarebbe doveroso per una azienda), invece di incentivare (come sarebbe nell’interesse dell’azienda), invece di “valorizzare” (come imposto dal Contratto di Servizio), hanno quotidianamente creato le condizioni per indurlo ad andare via”. “Sarà un altro caso di uscita “spintanea””, aggiunge Di Trapani.
M5s e Pd difendono il conduttore
“La sola idea che Ranucci possa lasciare la Rai per La7, sarebbe la prova definitiva che il servizio pubblico non solo non difende il giornalismo d’inchiesta, ma fa di tutto per ostacolarlo”, azzannano i pentastellati in Commissione di vigilanza Rai, “Il disegno è chiaro: smantellare, pezzo dopo pezzo, l’unico spazio televisivo che da decenni porta numeri record e gode dell’affetto incondizionato del pubblico. La Rai dovrebbe proteggere Report, non sabotarlo”.
E di “uno scempio e l’ennesima ferita al servizio pubblico”, parla il Pd, per il quale, “se anche un professionista con il suo profilo, il suo rigore giornalistico e il suo radicamento nella tradizione di inchiesta di Report dovesse lasciare l’azienda, si sancirebbe in maniera definitiva la difficoltà del servizio pubblico a garantire autonomia, pluralismo e qualità dell’informazione”.