Reddito di cittadinanza targato Meloni

Il taglio del Reddito di cittadinanza obbligherà i percettori ad arrotondare. Così il Governo favorisce sommerso e sfruttamento.

Reddito di cittadinanza targato Meloni

Dalle demonizzazione fatta in campagna elettorale che etichettava il Reddito di cittadinanza come grande male dell’Italia, alla sua riforma con cui verrà rinominato e saranno abbassati gli importi con il solo risultato di riuscire a scontentare tutti.

La riforma del Reddito di cittadinanza tradisce la promessa di abolire la misura. E sarà un affare per le agenzie interinali

Strana storia quella delle destre che di giorno in giorno sono costretti a fare retromarcia rispetto alle roboanti promesse fatte agli italiani prima del voto, dovendo di volta in volta rimangiarsi la parola data. Eppure è proprio la grande costante di questo governo di Giorgia Meloni che sul sussidio ai poveri voluto dal Movimento 5 Stelle, forse comprendendo la sua utilità e temendo ripercussioni sociali, è passato da quando si prometteva la sua totale abolizione, con la premier che definiva la misura come “metadone di Stato”, a una ben più semplice – quanto discutibile – sforbiciata che delude sia gli elettori di destra, i quali si aspettavano la completa abolizione della misura, sia i percettori che si troveranno a vivere con la metà di quanto prendevano precedentemente.

Un assegno meno sostanzioso rischia di favorire il lavoro nero

Tra l’altro dare un assegno meno sostanzioso rischia di favorire il lavoro nero, proprio quello che le destre imputavano come maggiore limite del Reddito di cittadinanza, perché tanti per sopravvivere cercheranno il modo di arrotondare. Ma se questa macro giravolta è quella più evidente, guardando alla prima bozza di riforma del Rdc che da settembre cambierà nome in Misura di inclusione attiva (Mia) appare chiaro che le destre sono dovute correre ai ripari su tutta la linea.

Gli occupabili continueranno a beneficiare del sussidio

La più clamorosa delle giravolte è sugli occupabili che continueranno a beneficiare del sussidio anche se con una pesante rimodulazione. Già proprio quella folta platea di persone contro cui si scatenavano le invettive della premier – ma non solo – che, solo per citare un episodio emblematico, il 22 novembre scorso durante la conferenza stampa per presentare la legge di bilancio diceva testualmente: “Manteniamo gli impegni anche in tema di Reddito di cittadinanza. Abbiamo sempre detto che uno Stato giusto non mette sullo stesso piano chi può lavorare da chi non può farlo. (…) Fedeli ai nostri principi, continueremo a tutelare chi non può lavorare, ma per gli altri il Reddito di cittadinanza viene abolito alla fine del 2023. E nel 2023 non potrà essere percepito per più di otto mesi complessivi e in ogni caso decade al rifiuto di una prima offerta di lavoro”.

Dopo neanche tre mesi si scopre che questa idea è stata una boutade, buona solo per la campagna elettorale quando capitava d’imbattersi in dichiarazioni come quelle di Claudio Durigon che raccontava che “chi può lavorare non potrà più restare in poltrona e continua a beneficiare dell’assegno”. E infatti ora si scopre, sempre stando alla bozza del Mia, che gli occupabili continueranno a percepire un sussidio, seppur dimezzato perché fissato a un massimo di 375 euro, per un massimo di 12 mesi.

Ma non è finita qui. Quello che sta accadendo sul Reddito di cittadinanza è una Caporetto politica fatta a suon di retromarce che denotano la confusione che regna nelle destre. Sempre la premier diceva: “Vogliamo mantenere e, laddove possibile, aumentare il doveroso sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare”, ma “per gli altri”, “la soluzione non può essere il reddito di cittadinanza, ma il lavoro”.

Peccato che il buon proposito di alzare il sussidio ai fragili sembra si sia arenato perché quest’ultimi non vedranno aumentare di una virgola il proprio assegno. E non va meglio sul fronte del lavoro dove non sembra ci sia stato alcun passo in avanti se non la decisione, in realtà già presa dall’ex premier Mario Draghi, di affiancare ai Centro per l’impiego – per i quali si poteva pensare a un potenziamento – le agenzie private.

Una mossa per la quale in tanti si domandano se il risparmio ottenuto dalla sforbiciata del sussidio non finisca in larga misura proprio ai privati. Quel che è certo è che tutto ciò non convince Chiara Saraceno, sociologa e presidente a suo tempo del Comitato Scientifico per la valutazione del Rdc, che a La Notizia ha detto: “Così paghiamo due volte le persone che devono fare politiche attive del lavoro perché paghiamo i dipendenti dei Cpi e le agenzie del lavoro”. Insomma alla fine della fiera sembra proprio che le destre hanno poche idee ma molto confuse.

 

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