Referendum e separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri: scopri cosa cambia davvero e perché la prossima consultazione popolare sarà decisiva

La riforma della giustizia approvata in Parlamento porterà a un referendum in primavera 2026. Ecco tutte le informazioni fondamentali

Referendum e separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri: scopri cosa cambia davvero e perché la prossima consultazione popolare sarà decisiva

Dopo decenni di dibattiti e tentativi andati a vuoto, il Parlamento ha approvato la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Una svolta storica, come sostenuto con forza dal centrodestra, che vede coronato il sogno di Silvio Berlusconi. Ma la partita non è ancora chiusa: infatti sarà il popolo, con ogni probabilità tra marzo e aprile 2026, a dire l’ultima parola con un referendum confermativo.

L’approvazione in Parlamento è arrivata il 30 ottobre 2025, dopo un confronto acceso tra il governo Meloni e le opposizioni, insolitamente compatte e unite nel contrapporsi a questa ingente riforma della giustizia. Proprio a causa della spaccatura tra maggioranza e opposizione, il provvedimento in parlamento non ha ottenuto i due terzi dei voti necessari e così, norme costituzionali alla mano, la riforma dovrà passare per le urne con un referendum che non prevederà alcun quorum e dovrà sancire, una volta per tutte, la conferma o bocciatura del provvedimento.

Cosa cambia davvero?

Questa è la domanda delle domande. Dietro i tecnicismi costituzionali, che rendono il testo complesso per i non addetti ai lavori, la riforma si regge su tre pilastri semplici ma di grande impatto:

1. Stop alle “porte girevoli”.
Chi sceglie di fare il giudice non potrà più diventare pubblico ministero e viceversa. La carriera sarà unica e irreversibile, per garantire — spiegano i promotori — un giudice “terzo” e autonomo. Un provvedimento che, almeno nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe prevenire scandali come quelli emersi anni fa nel cosiddetto “sistema Palamara”.

2. Due CSM distinti.
L’attuale Consiglio Superiore della Magistratura verrà diviso in due organismi distinti, separati e con competenze specifiche: un Csm si occuperà dei giudici, l’altro dei pubblici ministeri. Appare evidente che l’obiettivo dei proponenti è quello di garantire maggiore indipendenza e meno influenza delle correnti interne.

3. Nasce l’Alta Corte disciplinare.
Il provvedimento, però, introduce anche un inedito organo giudicante, l’Alta Corte disciplinare, che si occuperà esclusivamente dei procedimenti disciplinari e avrà competenza sia sui giudici e sia sui pubblici ministeri. Tale organismo, sempre secondo la maggioranza di governo, costituirà un arbitro esterno al sistema tradizionale e dovrà garantire l’imparzialità e la trasparenza dei magistrati.

Quali sono le conseguenze pratiche?

Guardando ai magistrati, la separazione delle carriere si traduce nella fine della mobilità tra le funzioni, mettendo fine al cosiddetto meccanismo delle “porte girevoli”: chi indossa la toga, infatti, dovrà dire addio ai passaggi da pubblico ministero a giudice e viceversa che da anni anima il dibattito, malgrado i dati dimostrino che tali passaggi siano a dir poco rari.

Notevoli le novità per il sistema giudiziario, con l’istituzione del doppio CSM che rappresenta una riforma strutturale che cambierà sensibilmente il modo in cui vengono gestite nomine e carriere.

E per i cittadini cosa cambierà? Qui i pareri sono molto discordanti. I sostenitori sostengono che gli effetti della riforma porteranno a una giustizia più equa, meno politicizzata e più trasparente. Ben diverso il parere dei contrari, ossia le forze di opposizione e gran parte dei magistrati, che si dicono convinti che la separazione renderà la magistratura più esposta al controllo da parte del potere politico e, inoltre, non porterà alcun beneficio sul problema principale che affligge il sistema giudiziario italino, ossia l’eccessiva lentezza dei processi che da anni viene contestata all’Italia dall’Unione europea.

Quale sarà il significato del referendum?

Appare chiaro che il voto popolare di primavera sarà tutt’altro che una formalità e avrà un peso notevole per l’Italia intera. Questo perché pur trattandosi di un referendum confermativo, quindi senza quorum, l’esito avrà un peso politico enorme in quanto deciderà le sorti della riforma stessa e potrebbe avere ripercussioni sulla tenuta stessa dell’esecutivo di Giorgia Meloni.

Alla luce di tutto ciò appare più che evidente che un eventuale “sì” delle urne finirebbe per rafforzare la leadership di Giorgia Meloni e consegnerebbe al centrodestra una delle vittorie simboliche più attese degli ultimi anni.

Un “no”, al contrario, sarebbe letto come una bocciatura diretta del governo – malgrado quest’ultimo si stia affannando a non personalizzare il voto, evitando di incorrere nel clamoroso flop del referendum sulla riforma costituzionale che causò la caduta del governo Renzi – e darebbe nuova linfa a un fronte d’opposizione che da tempo fatica a mostrarsi solido e unito.

Perché è un passaggio decisivo?

Com’è facilmente intuibile questa riforma che introduce la separazione delle carriere tocca il cuore dell’ordinamento giudiziario in quanto ridefinisce l’intero equilibrio tra i poteri dello Stato. Proprio per questo non è solo una questione tecnica in quanto le modifiche introdotte portano a una visione diversa di giustizia, di rapporti tra magistratura, politica e cittadini, rispetto a quella fin qui sostenuta.

Alla luce di tutto ciò, che la si consideri una rivoluzione o un clamoroso autogol, resta il fatto che il 2026 sarà l’anno in cui gli italiani saranno chiamati a scegliere come vogliono che funzioni la loro giustizia dicendo se vogliono confermare questa riforma, voluta con insistenza dal ministro della Giustizia Carlo Nordio e osteggiata dalle opposizioni e dai magistrati italiani, oppure se preferiscono lasciare tutto così com’è.