Renxit, effetto domino sulle società di Stato. Da Enel a Ferrovie, i manager renziani ora tremano

Il No al referendum rischia di scatenare un effetto domino sulle società di Stato. Così cominciano a tremare manager renzianai come Mazzoncini e Starace

Non è così scontato come qualcuno potrebbe pensare. Ma con la sonora bocciatura della riforma costituzionale, subìta da Matteo Renzi, l’effetto domino è una variabile con cui bisogna fare i conti. E non soltanto per quanto riguarda la composizione del futuro governo. Per carità, prima bisognerà attendere le mosse del Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Ma se alla fine le dimissioni di Renzi fossero confermate, e il timone del Governo consegnato a qualcun altro, la prossima primavera potrebbe aprirsi un’imprevedibile partita sulle nomine nelle società di Stato. Soprattutto in quelle a maggiore “trazione” renziana.

I casi – Per esempio l’Enel, guidata da quel Francesco Starace che è molto vicino a Renzi, ma anche ad altri componenti del giglio magico come Marco Carrai e Vincenzo Manes, quest’ultimo numero uno del gruppo Intek e della fondazione Dynamo (le cui iniziative benefiche spesso hanno visto tra i protagonisti proprio l’Ad del gruppo elettrico). Ma non va dimenticato che nel Cda dell’Enel siede anche Alberto Bianchi, una delle menti economiche dell’entourage renziano, tesoriere della fondazione Open e componente del comitato direttivo dell’Ente Cassa di risparmio di Firenze. Nelle fasi di maggior fortuna del giglio magico, Starace veniva dato talmente in ascesa da essere indicato come possibile successore di Claudio Descalzi sulla poltrona di Ad dell’Eni. Ma senza un Renzi a Palazzo Chigi, possibili sviluppi e assetti attuali potrebbero essere messi in discussione. Discorso simile per Leonardo-Finmeccanica, dove il premier ha voluto Mauro Moretti. E dove ha trovato collocazione, come consigliere di amministrazione, un renziano di ferro come Fabrizio Landi, ex numero uno di Esaote (sistemi diagnostici) e finanziatore della fondazione Open. Il colosso della difesa è uno di quelli che veniva dato più in ebollizione dopo la riorganizzazione lanciata da Moretti nelle seconde e terze linee aziendali. Insomma, una “ricalibratura” che avrebbe fatto montare in diversi ambienti di Finmeccanica l’insoddisfazione nei confronti della filiera Renzi-Moretti. E questo potrebbe anche essere terreno fertile per cambiamenti propiziati da un perimetro decisionale non più presidiato da Renzi.

Gli altri – Fibrillazioni si registrano anche in Ferrovie. L’attuale Cda, già rivisitato sul finire dell’anno scorso, resterà in carica fino al 2017. L’Ad Renato Mazzoncini è stato chiamato da Renzi, che ne aveva apprezzato le doti quando il manager, da numero uno di Busitalia (sempre gruppo Fs), a seguito di una gara aveva rilevato l’Ataf, l’azienda del trasporto pubblico fiorentino. Ma nel Cda di Ferrovie siede anche il renzianissimo Federico Lovadina, avvocato che già aveva frequentato lo studio legale Tombari (dove si fece le ossa la ministra Maria Elena Boschi) e che ora è socio dello studio Bonifazi-Lovadina-Boschi, dove ha come compagni di avventura Francesco Bonifazi, ex fidanzato della Boschi e ora tesoriere del Pd, ed Emanuale Boschi, fratello della ministra ed ex dipendente di Banca Etruria. Ma si tratta solo di esempi, perché nomine renziane hanno contraddistinto anche la Cassa Depositi e Prestiti. Ora, con Renzi defilato, alcuni cominciano a tremare.

Tw: @SSansonetti