Ai tempi di Facebook parlare di Montesquieu non sarà forse di moda, ma è incentrato su questo – la separazione dei poteri – il discorso che Matteo Renzi ha tenuto ieri al Senato. Prova a volare alto: “Non stiamo discutendo di una piccola questione bagatellare, ma stiamo riflettendo sulla questione se secoli di civiltà giuridica e politica abbiano ancora un senso o no” ma è evidente il riferimento alle vicende personali. Che negli ultimi tempi lo hanno molto segnato. Non solo per sé, come spiega ai giornalisti alla buvette, ma per i suoi figli, la loro privacy e quella delle persone coinvolte, per le modalità con cui si sta svolgendo l’inchiesta sulla fondazione Open: “Trecento finanzieri all’alba in casa di persone non indagate sono una retata”, accusa, a proposito delle perquisizioni ordinate dalla procura di Firenze nei confronti dei finanziatori dell’ex cassaforte della Leopolda.
“La magistratura ha fatto una invasione di campo, pretende di decidere cosa è un partito e cosa no. E se al pm affidiamo non già la titolarità dell’azione penale ma dell’azione politica, quest’aula fa un passo indietro per pavidità e lascia alla magistratura la scelta di cosa è politica e cosa non lo è”, altro riferimento ai pm che hanno definito la Open, attiva dal 2012 al 2018, “articolazione di un partito politico”. E cita due precedenti storici, il caso Lockheed che ha portato alle dimissioni di Giovanni Leone dal Quirinale e il discorso di Bettino Craxi del ‘92, nonché l’appello di Aldo Moro alla Camera dei deputati, che però non era rivolto direttamente ai magistrati ma alle altre forze politiche: “Non ci lasceremo processare nelle piazze”.
Per sferrare un attacco ai giornalisti cita invece le dimissioni di Leone “per uno scandalo montato ad arte dai media e parte della politica. Per distruggere la reputazione di un uomo può bastare una copertina di un settimanale. Peraltro, i tempi cambiano ma il settimanale rimane… Per recuperare non ci si riesce facilmente”. L’obiettivo è lo scoop de L’Espresso sul prestito da 700mila euro ricevuto da uno dei finanziatori di Open per l’acquisto della sua villa a Firenze. Ma non è tutto. Renzi cita pure Bettino Craxi. E non un discorso a caso: ha scelto il celebre intervento del segretario Psi, in piena Tangentopoli, quando disse che “buona parte del finanziamento politico ai partiti è irregolare od illegale”.
Non una scelta felicissima, anche perché Craxi, morì ad Hammamet da latitante con due condanne definitive a 10 anni di reclusione sulle spalle ed altre provvisorie, in primo e in secondo grado, per circa quindici anni. La differenza è sostanziale: su Renzi non pendono condanne e nel cado della fondazione Open non è neppure indagato. Quello che condivide con il leader socialista è però “l’orrore del vuoto politico”. E così conclude il suo discorso fra gli applausi di Forza Italia e di parte dei leghisti (tiepido il Pd): “A chi volesse contestarci o, peggio ancora, eliminarci per via giudiziaria, sappia che dalla nostra parte abbiamo il coraggio e la voglia di dire che il diritto e la giustizia sono cosa diversa dal peloso giustizialismo e dalla connessione con certi strumenti di comunicazione e di stampa. Italia Viva riconosce il profondo rispetto per la magistratura. Italia Viva crede che il potere legislativo di questo Paese debba essere difeso innanzitutto da se stesso”.