Resa dei conti nel Carroccio. Salvini e Giorgetti sempre più separati in casa. Oggi un difficile Consiglio federale della Lega. Il leader furioso col suo vice turbodraghiano

I tentativi di minimizzare da parte dei big della Lega non mancano ma i primi a sapere che oggi sarà un Consiglio federale infuocato sono proprio loro.

Resa dei conti nel Carroccio. Salvini e Giorgetti sempre più separati in casa. Oggi un difficile Consiglio federale della Lega. Il leader furioso col suo vice turbodraghiano

I tentativi di minimizzare da parte dei big della Lega non mancano ma i primi a sapere che oggi (alle 18) sarà un Consiglio federale infuocato sono proprio loro: stavolta le uscite di Giancarlo Giorgetti – sebbene non siano certo una novità – hanno passato il segno e Matteo Salvini non intende e non può lasciarle passare. Né quelle sulla collocazione europea del Carroccio né tantomeno quelle su Draghi al Colle e contemporaneamente “regista” occulto a Palazzo Chigi.

Sebbene, infatti, il suo vice abbia precisato (più per salvare la forma che per altro) che nel partito “Non ci sono due linee ma al massimo sensibilità diverse”, è evidente che la sua aspirazione di spostare la Lega verso i lidi moderati del Ppe confligge totalmente con il piano del leader di formare un super gruppo sovranista al Parlamento Ue – che includerebbe pure i tedeschi dell’ultra destra di Afd, Le Pen e Orban tanto invisi al “moderato” e turbo-europeista Giorgetti – tant’è che di tutta risposta rispetto alle affermazioni rilasciate dal suo vice a Bruno Vespa per il suo libro (leggi l’articolo), Matteo ieri ha tenuto una video-conferenza con il premier ungherese e quello polacco Morawiecki proprio per accelerare sul gruppo unico.

Salvini è più che arrabbiato: è esasperato e intenzionato a far capire una volta per tutte chi comanda e chi ha portato la Lega dal 3% ad essere fra i protagonisti della scena politica italiana. Da qui la decisione di convocare il Federale a sorpresa per oggi pomeriggio a Roma, dove il leader lancerà “una grande assemblea programmatica del partito, da fare entro la fine dell’anno”.

FERRI CORTI. Insomma, il clima è da resa dei conti, anche perché il massimo organo esecutivo del partito non si riuniva da un po’ di tempo e di carne al fuoco ce n’è molta. Compresa la “scomposta” dichiarazione sul “semipresidenzialismo de facto” in cui il presidente della Repubblica “allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole”. Non male come aggiramento di tutte le regole costituzionali… Sul tema caldo della partita sul Quirinale, il ministro leghista con Vespa si sbilancia: “Draghi potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale”, ovvero Mr. Bce salirebbe al Colle ma sarebbe in ogni caso il presidente del Consiglio ombra, magari piazzando come premier un suo alter ego alla Franco (ipotesi non peregrina, peraltro) o perché no (sussurra qualche maligno fra i big leghisti) Giorgetti stesso.

Suggestioni? In ogni caso la strategia del numero due di via Bellerio per favorire il trasloco di Draghi sul colle più alto non solo non è stata gradita (per usare un eufemismo) dalle parti di Forza Italia, dove l’ipotesi viene bollata “abbastanza improponibile” visto che ad aspirare al ruolo c’è pure Silvio Berlusconi, ma neppure condivisa in toto da Salvini il quale, sebbene in chiaro sostenga che Draghi sarebbe un “buon presidente della Repubblica” aggiunge sibillino che “sul Quirinale gli scenari cambiano continuamente (come a dire del domani non v’è certezza).

ELEZIONI ANTICIPATE Sì O NO? Ma il vero nodo, nell’eventualità che Draghi lasciasse palazzo Chigi, sono le elezioni anticipate. A invocarle apertamente è rimasto solo il partito di Giorgia Meloni, che per ovvie ragioni indica il voto come “via maestra” e condizione per il sì all’attuale premier presidente della Repubblica. Le urne però convengono anche al leader della Lega che da qui al 2023 rischia di vedere il proprio consenso nel Paese diminuire ancora in favore dell’alleata (i sondaggi già certificano FdI davanti al Carroccio sebbene di poco ma la forbice rischia di allargarsi irreparabilmente).

In ogni caso la linea la detta il segretario federale e Matteo, come ha dichiarato del resto Giorgetti “è abituato a essere un campione d’incassi nei film western” non un comprimario come lui gli avrebbe proposto (“un attore non protagonista in un film candidato agli Oscar”. E, sebbene “sia difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep”, Salvini di lasciare la statuetta a Meryl – Meloni non ci pensa proprio.