Riforma pensioni: cosa succede dopo quota 100. La proposta dei sindacati: 62 anni di età o 41 di contributi

Maggiore flessibilità per andare in pensione a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi e pensione di garanzia per giovani, lavoratori discontinui e con basse retribuzioni tra le proposte

Riforma pensioni: cosa succede dopo quota 100. La proposta dei sindacati: 62 anni di età o 41 di contributi

Cgil, Cisl e Uil si preparano a riaprire il cantiere sulla riforma delle pensioni che potrebbe decollare entro metà mese. La disponibilità del governo c’è, come lo stesso ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha annunciato nei giorni scorsi. Quota 100 terminerà la sua sperimentazione con il prossimo dicembre, i tavoli prioritari sulle politiche attive e la riforma degli ammortizzatori sono stati già incardinati nella discussione con le parti sociali, con le quali a breve formulare testi base, e sono finalmente partite le Commissioni tecniche chiamate a valutare sia la possibilità di separare la spesa previdenziale da quella assistenziale che ad individuare il perimetro dei cd. lavori gravosi.

Riforma pensioni: cosa succede dopo quota 100

Il campo dunque è sgombro e il confronto potrà iniziare. Per questo oggi i leader di Cgil Cisl e Uil, Landini, Sbarra e Bombardieri, rilanceranno le proposte già discusse ma poi interrotte dalla crisi con l’ex ministro Catalfo. E lo faranno domani, anche per ritornare in pressing sulla data di convocazione del confronto. Con l’iniziativa che andrà in onda sulle pagine Facebook e sui siti istituzionali dal titolo evocativo “Cambiare le pensioni adesso”:

  • maggiore flessibilità dunque per andare in pensione a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi;
  • pensione di garanzia per giovani, lavoratori discontinui e con basse retribuzioni;
  • tutela delle donne, le maggiori vittime dell’inasprimento dei requisiti pensionistici degli ultimi anni;
  • tutela dei lavori di cura, di chi svolge lavori usuranti e gravosi;
  • sostegno del reddito dei pensionati;
  • rilancio della previdenza complementare e trasparenza sui dati della spesa previdenziale e assistenziale.

Queste le proposte. ”Un sistema previdenziale solido e sostenibile deve avere radici salde nell’occupazione di qualità, e noi stiamo lavorando in questo senso consapevoli che senza lavoro non c’è previdenza e che la previdenza è strumento di coesione sociale e non solo una voce della spesa pubblica. E l’Italia oggi ha grande bisogno di coesione e solidarietà sociale”, spiegano ancora i leader di Cgil Cisl e Uil.

La proposta dei sindacati: 62 anni di età o 41 di contributi

Ad alimentare un dibattito, facile ad infiammarsi velocemente, anche la proposta del presidente Inps, Pasquale Tridico. Che nei giorni scorsi aveva dato corpo ad una ipotesi di pensionamento ispirato ad una maggiore flessibilità senza che questa gravi sulla sostenibilità della spesa pensionistica per le casse dello Stato. Ovvero il cuore del problema. La proposta Tridico prevede la divisione in due dell’assegno pensionistico. Solo la parte contributiva potrebbe dare corso ad una uscita verso i 62-63 anni con 20 anni di contribuzione e al relativo pagamento.

Questa parte aveva sottolineato Tridico si potrebbe legare alla cosiddetta staffetta generazionale che prevede un orario ridotto per fare spazio a nuovi giovani occupati. La parte retributiva invece, si potrebbe ottenere solo al raggiungimento dei 67 anni prevedendo alcune agevolazioni come lo ‘sconto’ di 1 anno per ogni figlio per le donne lavoratrici oppure 1 anno in meno ogni 10 anni di lavori usuranti e gravosi. Allo studio dell’Inps anche una possibile pensione di garanzia per i giovani con carriere discontinue che si profilerebbe come un sostegno strutturale per gli assegni di pensione bassi.