Nel 2024 i rimpatri di stranieri irregolari hanno raggiunto il minimo storico dal 2014, mentre i costi della detenzione amministrativa sono saliti a livelli senza precedenti. A certificare il fallimento annunciato della politica dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) è il nuovo rapporto Trattenuti, frutto del lavoro congiunto tra ActionAid Italia e il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari. I numeri – aggiornati alla fine del 2024 – raccontano un sistema che costa moltissimo, funziona poco e incide in modo drammatico sui diritti fondamentali delle persone coinvolte.
Cpr Albania: flop da 114mila euro al giorno
L’esperimento simbolo di questo sistema si chiama Gjader, il primo Cpr italiano realizzato fuori dai confini nazionali, in Albania. Dal suo avvio tra ottobre e dicembre 2024 ha operato per soli cinque giorni, durante i quali sono state trattenute appena 20 persone, tutte liberate poche ore dopo. Costo totale: 570mila euro, pari a 114mila euro al giorno. E questo senza considerare i 528mila euro spesi in ospitalità e ristorazione per il solo personale di polizia, sempre in quei cinque giorni. Il costo per l’allestimento di un singolo posto letto nel centro di Gjader ha superato i 153mila euro. In confronto, il centro di Porto Empedocle – inaugurato nel 2024 – è costato un milione per 50 posti, poco più di 21mila euro a posto. Un rapporto di 1 a 7.
Nonostante ciò, tra affidamenti diretti e cantieri ancora incompleti, al marzo 2025 risultano già firmati contratti per 74,2 milioni. È l’operazione più costosa, inefficiente e opaca mai registrata nel settore, secondo gli analisti del rapporto.
Rimpatri al minimo, detenzione al massimo
La funzione originaria dei Cpr sarebbe quella di facilitare i rimpatri. Ma i numeri del 2024 raccontano altro: solo il 41,8% delle 6.164 persone entrate in un centro di detenzione è stato effettivamente rimpatriato. Peggio ancora il dato relativo alle persone con provvedimento di allontanamento: solo il 10,4% è stato effettivamente espulso.
Nel frattempo, i costi lievitano. Solo nel 2024, il sistema ha bruciato quasi 96 milioni di euro, più dell’intera spesa cumulata nei sei anni precedenti (93 milioni tra 2018 e 2023). E tutto ciò senza produrre risultati, né in termini di efficacia né di deterrenza. In sette anni, il costo complessivo del sistema ha superato i 188 milioni di euro, ma oltre il 58% di questi sono stati assorbiti da spese per allestimenti e manutenzioni straordinarie, spesso legate a rivolte, danneggiamenti o chiusure temporanee.
Detenuti senza motivo, giudici che liberano
Il trattenimento, nel tempo, ha cambiato scopo. I richiedenti asilo rappresentano ormai oltre il 45% degli ingressi nei centri: persone che non dovrebbero nemmeno essere lì, in assenza di un provvedimento di allontanamento. Il 21% di loro è stato trattenuto solo in quanto richiedente asilo. Una deriva che porta con sé conseguenze legali e sociali. Le uscite per mancata convalida o proroga del trattenimento da parte dei giudici sono passate dal 9% del 2021 al 29% nel 2024. In due anni, 186 persone sono state liberate perché avevano diritto all’accoglienza: il 89% di tutti i richiedenti asilo entrati nei nuovi Ctra.
Secondo Giuseppe Campesi (Università di Bari), “la detenzione amministrativa sta diventando uno strumento improprio della politica d’asilo, senza alcun effetto tangibile sulla sicurezza e con un impatto devastante sui diritti“. Un “cambio di paradigma” che ha portato alla crescita dei ricorsi accolti e a un uso sempre più discutibile dello strumento detentivo.
Un sistema ingovernabile e patogeno
A fine 2024, l’intero sistema di trattenimento contava 14 strutture (11 Cpr e 3 Ctra), per una capienza ufficiale di 2.555 posti. Ma l’effettiva disponibilità si è fermata a 1.164, il 46% del totale. Strutture fatiscenti, sovraccariche o semivuote, segnate da rivolte, atti di autolesionismo e tre morti solo tra il 2024 e i primi mesi del 2025. Per la prima volta, la piattaforma Trattenuti include anche un monitoraggio puntuale degli eventi critici, per documentare il costo umano – non solo economico – di queste politiche.
“Alla luce di 263 posti vuoti e milioni spesi per una detenzione che non produce rimpatri, risulta sempre più evidente il cortocircuito. L’idea di utilizzare Gjader per trattenere gli irregolari presenti in Italia è del tutto irrazionale e illogica“, spiega Fabrizio Coresi di ActionAid. Eppure si insiste.
Nata con la promessa di rafforzare il controllo delle frontiere, la rete dei Cpr si è trasformata in un’industria fallimentare, tanto più redditizia quanto più inefficace. Un ingranaggio dove i diritti si perdono, i fondi pubblici evaporano e nessuno chiede conto dei risultati.