Rivolta nel Pd

di Gaetano Pedullà

Non lascio il futuro del Paese a Mineo. In questa frase di Matteo Renzi c’è la sintesi di dove siamo e di dove andiamo. Siamo in una Repubblica parlamentare ostaggio di deputati e senatori nominati con un sistema elettorale incostituzionale. Questi signori, eletti sotto le insegne di partiti che hanno cambiato pelle (il Pd di Bersani scalato da Renzi) o scomparsi (il Pdl) non ci pensano proprio a prendere atto del loro ruolo di usurpatori della volontà popolare (con le preferenze o qualunque altro sistema almeno due terzi di loro non sarebbero mai eletti) e anzi arrivano a irridere l’indiscusso consenso del premier. Matteo ha i voti nel Paese, ma loro ce li hanno nelle Camere. Dunque votano come gli pare, anche contro i loro stessi partiti. Non importi che ci sia in ballo la responsabilità civile dei giudici o le riforme. A gridare forte come stanno le cose, così che il premier sentisse pure in Cina, è stato il deputato Pd Corradino Mineo, che con altri 13 ieri si è autosospeso dal partito, mettendo ancora più in pericolo le riforme costituzionali. E qui veniamo a dove andiamo. Se Mineo & C. osano tanto è perché scommettono che non si andrà a votare presto, e dunque non c’è pericolo di non essere ricandidati a elezioni che non si faranno. La mossa dei 13 dissidenti, unita ai franchi tiratori del giorno prima, può costituire però l’incidente parlamentare perfetto per fare una veloce crisi di Governo e andare a votare in autunno. Solo così il segretario del Pd potrebbe disfarsi dei suoi avversari interni. A meno che i poteri forti, che hanno imposto a Renzi di governare con una maggioranza di latta, blocchino tutto incuranti che così non si va lontano.