Roma ha bisogno di risposte. Anche da Renzi. Chiudere qualche circolo servirà a poco. Il rinnovamento si misura da qui

Il nodo di Roma va sciolto con un taglio di spada, come si racconta che fece Alessandro il Macedone a Gordio, senza dare ulteriori spazio a complicazioni, artifici o pericolose negligenze. La situazione sta degenerando, la paralisi è sotto gli occhi di tutti. Marino ha certo il diritto di rivendicare l’onestà della sua condotta e la generosità del suo impegno, ma il consiglio comunale è bloccato, il rapporto tra Comune e aziende partecipate è pure bloccato, la vita politica è in se stessa bloccata. Il quadro d’insieme rivela la consunzione della governabilità del sistema. Cosa aggiungere altro? Come sempre avviene, la mancata risposta a uno stato di difficoltà provoca lo slittamento sul terreno della polemica aggressiva e spregiudicata, destinata prima o poi a produrre reazioni sbagliate. Roma non merita di sprofondare in questa perniciosa dialettica della volgarità. Non è suonato bene l’invito alla destra – una volta si diceva ai fascisti – a “tornare nelle fogne”: questo lessico ricorda il tempo delle violenze, verbali e fisiche, a ridosso degli anni di piombo. Di sicuro era meglio che il sindaco evitasse.

Era meglio che dinanzi ai militanti del Pd evitasse – il sindaco – l’uso di parole così inappropriate. Il tema vero è la battaglia contro la corruzione. Ai cittadini, infatti, pesa constatare che i disservizi di una città ridotta a livelli inaccettabili di degrado siano accompagnati dalla esplosione di un fenomeno criminogeno, addirittura di tipo mafioso, tristemente fotografato dall’inchiesta su Mafia Capitale. Ora, tuttavia, il rimedio non può consistere nella fantasmagorica selezione dei buoni e cattivi all’interno della principale forza di governo della città.

CRISI IRREVERSIBILE
Chiudere qualche circolo del Pd serve solo a confondere aspetti organizzativi – tutti interni alla vita di partito – e questioni politico-amministrative. È come se Papa Francesco, per rispondere allo scandalo della pedofilia all’interno della Chiesa cattolica, avesse chiuso qualche Parrocchia e stilato un elenco di strutture ecclesiali a rischio. La crisi che attanaglia Pd non riguarda solo gli addetti ai lavori, dai quadri ai militanti di base. Le sue convulsioni, in verità, impediscono di trovare la via d’uscita dal caos attuale. Renzi ha fatto capire che le dimissioni di Marino sarebbero da preferire allo stallo in cui versa l’amministrazione capitolina. In ogni caso, se questa sollecitazione dovesse essere respinta non resterebbe al Presidente del Consiglio che invocare l’assunzione di responsabilità del partito romano, ovvero dei suoi rappresentanti nell’Aula Giulio Cesare. Dovrebbero essere loro a dimettersi per mettere fine a uno stato di crisi irreversibile.

SCHELETRI NEGLI ARMADI
Ma Orfini è d’accordo? A complicare le cose c’è anche questo: il commissario voluto da Renzi ha scelto di fare quadrato attorno a Marino, giocando la doppia carta del moralismo e della conservazione, forse per timore di cose ben più gravi in termini di accertamento di colpe pregresse. Alla fine, come fumo negli occhi, vale su tutto l’operazione in sé caotica e incongruente del repulisti spiattellato con enfasi mediatica attraverso la ormai famosa “Relazione Barca”.

INDUGI INCOMPRENSIBILI
Renzi farebbe bene a rompere gli indugi. La vicenda romana, se proseguisse in questo tortuoso percorso di inettitudini, potrebbe danneggiare in misura irrimediabile la credibilità di una stagione di rinnovamento, per altro sempre in debito di ossigeno nonostante una formidabile spettacolarità di annunci e promesse, come pure di gesti. Si avvicina l’ora delle decisioni.