Salvini col piede in due staffe. Parla per Draghi e rivota con FdI. Doppio gioco di Matteo: un po’ di lotta, un po’ di governo. Ma ora la manfrina inizia a stancare anche i suoi

Doppio gioco di Matteo Salvini: un po' di lotta, un po' di governo. Ma ora la manfrina del leader leghista inizia a stancare anche i suoi.

Salvini col piede in due staffe. Parla per Draghi e rivota con FdI. Doppio gioco di Matteo: un po’ di lotta, un po’ di governo. Ma ora la manfrina inizia a stancare anche i suoi

Salvini show capitolo secondo: dopo aver votato martedì alla Camera l’emendamento presentato da FdI al decreto Covid (leggi l’articolo), approvato in Cdm lo scorso 6 luglio, per togliere l’obbligo della certificazione vaccinale per cenare all’interno dei ristoranti, anche ieri i deputati leghisti – ovviamente su ordine del capo – hanno espresso parere favorevole alla proposta del partito di Giorgia Meloni per esentare dal Green Pass i ragazzi sotto i 18 anni. Tutti gli emendamenti in questione sono stati respinti dall’Aula ma rimane lo strappo politico operato dalla Lega in seno alla maggioranza, un comportamento fortemente stigmatizzato da tutte le altre forze politiche, stufe delle giravolte di chi quotidianamente ha bisogno di occupare la scena politico-mediatica per non lasciare ad altri la parte da protagonista (soprattutto nella propria area di riferimento).

LA LEGA IN CONFUSIONE. In preda a evidenti contraddizioni, la giustificazione fornita dal del Capitano è stata che il voto in Aula non rischia di compromettere la stabilità dell’esecutivo e che “tutti erano informati”, compreso il premier Draghi, il quale gli avrebbe assicurato che, nella riunione del Cdm prevista stamattina a palazzo Chigi, non verrà discussa nessuna estensione del Green Pass a tutti i lavoratori del pubblico e del privato. “Siamo disposti a discutere di tutto – ha ribadito anche ieri Salvini – se però qualcuno inserisce l’obbligo vaccinale deve anche inserire il risarcimento per eventuali danni. L’obbligo vaccinale non esiste in nessun Paese del mondo libero e sviluppato, escludo che arrivi in discussione”, afferma di fatto smentendo non solo il ministro della salute Speranza ma lo stesso premier che nell’ultima conferenza stampa non ha affatto escludo la possibilità, sebbene come ultima ratio.

“Se alzare i toni ci permette di avere dei risultati, allora vuol dire che stiamo facendo il nostro mestiere”, ha poi rivendicato il leader leghista: in realtà i toni sopra le righe e soprattutto il doppio registro, quello di tenere la Lega sospesa fra i governisti (e i territori del nord dove spopolano partite Iva e si ragiona in Pil non in slogan) e gli scettici sul vaccino e sul Green Pass (per non “regalarli” alla Meloni, hanno stufato un po’ tutti, dagli eletti agli elettori. La Lega in questo momento rischia di non andare da nessuna parte e di restare incastrata fra due fuochi, e più passa il tempo più il rischio aumenta.

AL VOTO AL VOTO. La mission impossible di giocare su due tavoli, un po’ dentro un po’ fuori, l’abito buono con la cravatta ben annodata ma anche la felpa un po’ sgualcita, non può avere vita molto lunga; il logoramento è dietro l’angolo (e il sorpasso nei sondaggi da parte di FdI c’è già stato…), da qui al 2023 il cammino è lungo e impervio, che tenere insieme il Diavolo e l’Acqua Santa non è impresa facile, soprattutto se hai come contraltare gente del calibro del “doge” Zaia e Giorgetti. Ecco perché Salvini vedrebbe volentieri Draghi al Quirinale: andare al voto a giugno sarebbe la sua salvezza. Anche perché la “dimensione” della campagna elettorale è quella preferita dal Capitano, la piazza lo esalta, i selfie lo galvanizzano e se la giocherebbe finalmente alla pari con l’alleata/competitor Meloni senza l’incombenza di doversi comportare da leader di un partito di maggioranza.

E poi il sogno di Matteo è fare il premier di un esecutivo di centrodestra non certo il comprimario in un governo di larghe intese con un premier ingombrate e decisionista come l’ex numero uno della Bce. è in questo senso che va letto il soccorso leghista in Aula agli emendamenti di FdI e la photo opportunity con Giorgia su quel ramo del lago di Como. Dove i due hanno parlato anche di Colle e di strategie comuni: entrambi concordano sul fatto che non vi possa essere spazio per un quarto governo in quattro anni senza passare dalle elezioni qualora Draghi dovesse lasciare palazzo Chigi prima del 2023, con Salvini prontissimo ad appoggiarlo e Meloni molto più scettica.

Del resto FdI ha triplicato i voti da quando si è insediato il super banchiere e, a precisa domanda in merito, la leader dell’opposizione risponde sibillina di non aver “ancora gli elementi” per valutare Draghi al Quirinale. Capitalizzare subito o aspettare di staccare ancora di più la Lega? Questa è la vera domanda che le frulla in testa.