Salvini naufraga sulla Gregoretti. Il Senato verso il Sì al processo. Oggi prima riunione della Giunta delle immunità. La decisione entro il 3 febbraio poi la parola all’Aula

“Se dovrò essere processato lo farò a testa alta, se vogliono mandarmi in galera, non trovano un uomo preoccupato ma orgoglioso di aver difeso i confini, io al governo rifarei lo stesso”. Il leader della Lega Matteo Salvini sembra ormai dare per scontato che stavolta la Giunta delle immunità di Palazzo Madama non negherà l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti avanzata dal Tribunale dei ministri di Catania con l’accusa di sequestro di persona aggravato “per aver privato della libertà personale 131 immigrati presenti sulla nave Gregoretti”.

Del resto, determinanti in giunta, ma ancor di più in aula, saranno i voti dei renziani e le parole del capogruppo al Senato Davide Faraone, intervistato da La Notizia venerdì scorso, non lasciano dubbi: “La posizione di Italia Viva è molto chiara: in questo caso, come con quello della nave Diciotti, i nostri esponenti in giunta voteranno esclusivamente guardando le carte. Se Gregoretti varrà Diciotti, allora non potremo che votare sì al processo per Salvini, in totale coerenza con quanto fatto in passato”.

Lo stesso Salvini nella memoria depositata il 3 gennaio ha spiegato che il caso del pattugliatore Gregoretti è identico a quello della Diciotti, entrambe sono navi della Guardia Costiera italiana, ergo i senatori di Iv si comporteranno in modo identico, votando a favore dell’autorizzazione al processo dove il Capitano rischia quindici anni di carcere. A dire sì dovrebbero essere dunque in dodici: sei del M5s, i tre di Iv, la senatrice del Pd e due del Gruppo misto, mentre gli altri undici (cinque del Carroccio, i quattro di FI, un senatore di Fratelli d’Italia e uno del gruppo delle Autonomie) voteranno no per “salvare” il leader della Lega.

La votazione finale è prevista per il 20 gennaio, ma potrebbe slittare, mentre oggi l’organismo presieduto da Maurizio Gasparri comincerà a discutere il caso in una riunione convocata alle 14; a questa ne seguiranno altre già calendarizzate per il mese in corso dato che il termine entro il quale dovranno pronunciarsi è quello di trenta giorni dal ricevimento dell’atto. Il punto è che, se nel merito le due vicende – Gregoretti e Diciotti – potrebbero essere considerate sullo stesso piano, ad essere cambiate sono le condizioni politiche: a marzo il M5S e Giuseppe Conte difesero l’allora titotale del Viminale, ma il premier è oggi agli antipodi di Salvini, per usare un eufemismo, e qualora fosse chiamato a firmare una nuova memoria per condividere le scelte del suo ex ministro come fece allora – stessa memoria firmata all’epoca dal vice premier Luigi Di Maio e dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli – è evidente che non lo farebbe.

Anche perché le mail allegate alla memoria di Salvini dimostrano che Palazzo Chigi e gli altri ministeri coinvolti si preoccupavano della ricollocazione dei migranti, come del resto ha spiegato in conferenza stampa di fine anno dallo stesso Conte, e non che la decisione di trattenerli in mare (da qui l’accusa di sequestro di persona) fosse assunta da tutta la compagine governativa. Lapalissiano che gli altri ministri ne fossero a conoscenza, ma il punto non sta nella mancata collegialità ma nella sussistenza o meno del reato di sequestro di persona. Il fatto che ci fosse stata o meno collegialità avrebbe semmai un valore politico, ma non cambirebbe la posizione di Salvini. Al massimo si allungherebbe l’elenco degli eventuali corresponsabili del reato.