Sanità, Asl senza trasparenza tra bilanci e appalti

di Carmine Gazzanni
C’è, forse, qualcosa che non va se l’azienda sanitaria di Vibo Valentia, unica asl in Italia commissariata per infiltrazioni mafiose, registra solo l’8% di trasparenza. O, ancora, se si scende al 4% a Reggio Calabria (comune tuttora commissariato, ancora per infiltrazioni). E, probabilmente, qualcosa non va nemmeno se l’azienda sanitaria “Napoli 1” arriva solo al 33% e quella di “Roma A” non riesce ad andare oltre l’11%. Eppure sono proprio questi i numeri che emergono dal dossier di Libera e del gruppo Abele sulla trasparenza delle Asl, realizzato nell’ambito della campagna “Riparte il Futuro contro la corruzione”. I dati sono scoraggianti, soprattutto se consideriamo le leggi che obbligano – o, meglio, obbligherebbero – le aziende sanitarie a rendere le amministrazioni completamente trasparenti. Basti pensare alla famigerata legge anticorruzione che prevede anche per le Asl non solo obblighi di informazione su vertici dirigenziali, ma anche piani triennali di trasparenza con tanto di responsabili anticorruzione. A tutto questo, come se non bastasse, si aggiunge il decreto legislativo 33 del 2013 che dispone, dal primo gennaio 2014, assoluta trasparenza su costi, decisioni e servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni.
La situazione
Ed è proprio da qui che parte il monitoraggio di Libera sulle strutture sanitarie tenendo conto di alcuni criteri che, stando a quanto previsto dalle due norme citate, dovrebbero essere criteri inevitabilmente e naturalmente soddisfatti: trasparenza su bilancio e rendicontazione, su bandi e concorsi, su convenzioni con strutture private e, infine, sui tempi di attesa per le cure. Secondo i dati resi pubblici ieri, è indubitabile che un passo in avanti sia stato fatto rispetto al primo monitoraggio, risalente all’otto dicembre 2013: in quella data era stata registrata una media nazionale di trasparenza delle asl pari al 38%; oggi si arriva all’86% con un incremento, tenendo conto di tutti i criteri, del 127%. Eppure, come detto, non c’è affatto da esultare, dato che sono ormai mesi che entrambe le leggi ricordate sono entrate in vigore. Ma c’è dell’altro: secondo i dati che emergono dal rapporto, soltanto 18 aziende (il 7,4% del totale) hanno registrato una trasparenza su ogni fronte, il 21,9% delle aziende è al 75%, il 34,3% ha raggiunto il 50% e il 24,8% è al 25%. Ben 28 aziende (l’11,6%), invece, non hanno soddisfatto nessun criterio e sono ferme a quota zero. Ma entriamo nel dettaglio: soltanto il 50% delle aziende, per dirne una, pubblica bandi di gara e contratti, nessuna regione raggiunge il 100% e per due regioni (Molise e Valle D’Aosta) è impossibile trovarne anche solo uno. Per quanto invece riguarda le convenzioni con strutture private si scende ulteriormente: il criterio di trasparenza è soddisfatto solo dal 30% con Campania, Abruzzo, Molise e Valle d’Aosta che, invece, non pubblicano nulla. È invece l’Umbria l’unica regione che, per quanto riguarda bilancio e rendicontazione, raggiunge il 100% di trasparenza. Sei regioni, invece, sono ferme al palo (ancora Molise e Valle d’Aosta,  a cui si aggiungono Calabria e Liguria).
Il caso di “Roma A” 
Tra i tanti casi analizzati da Libera, spicca quello dell’azienda sanitaria “Roma A”, nei fatti una delle meno trasparenti in tutta Italia dato che, come detto, raggiunge solo l’11% di trasparenza. Non potrebbe essere altrimenti, d’altronde, se consideriamo che è impossibile leggere l’atto di nomina del direttore generale e del direttore sanitario. Del direttore amministrativo invece è impossibile leggere non solo l’atto di nomina, ma anche – cosa ancora più grave – curriculum e compensi. E per quanto riguarda piano e responsabile anticorruzione? Niente di niente. Irrintracciabili curriculum, stipendi, nomina e il piano stesso che pure dovrebbe essere stilato. Il paradosso insomma: non c’è trasparenza nemmeno sul piano della trasparenza.