Scarcerato per un cavillo il boss Roberto Spada

Il boss di Ostia Roberto Spada è tornato in libertà. Nel 2017 aveva colpito con una testata il giornalista Daniele Piervincenzi.

Scarcerato per un cavillo il boss Roberto Spada

Torna in libertà Roberto Spada, l’esponente del clan di Ostia noto per aver dato una testata al giornalista del programma Nemo, Daniele Piervincenzi. La notizia è stata anticipata dal Messaggero.

Il boss di Ostia Roberto Spada è tornato in libertà. Nel 2017 aveva colpito con una testata un giornalista

Venerdì scorso Roberto Spada è uscito dal carcere di Tolmezzo dove era stato rinchiuso a seguito anche del gesto violento nei confronti dell’inviato di Nemo, per il quale, il 6 dicembre 2019, i giudici della Cassazione avevano confermato nei suoi confronti la condanna a 6 anni di reclusione, inflitta in Appello, con l’accusa di lesioni e violenza privata aggravata dal metodo mafioso.

Il gesto di inaudita violenza risale al 7 novembre del 2017 quando una troupe televisiva del programma Nemo, in onda sulla Rai, era andata a Ostia per indagare sui presunti legami tra la famiglia Spada e Casapound.

Proprio nel litorale romano, infatti, il gruppo di estrema destra era stato autore di un inaspettato exploit alle elezioni comunali e sul quale voleva indagare il giornalista Piervincenzi, accompagnato dal cameraman Edoardo Anselmi.

In quell’occasione i due avevano raggiunto così la palestra di Roberto Spada, nella speranza di strappargli un’intervista. Ma il boss di parlare con il cronista non ne voleva proprio sapere e reagì sferrando prima una devastante testata sul naso del giornalista e poi colpendolo con un bastone.

Il boss è stato accolto ad Ostia da fuochi d’artificio e brindisi

Roberto Spada, secondo quanto è stato riferito, è stato “dimesso per espiazione della pena”, questa la motivazione ufficiale della decisione, ed è stato accolto ad Ostia da fuochi d’artificio e brindisi, a piazza Gasparri.

Il 25 settembre 2019 gli Spada erano stati riconosciuti dalla Corte d’Assise di Roma come un clan mafioso con una sentenza storica, condannando, diversi esponenti della famiglia per associazione mafiosa, tra i quali lo stesso Roberto e Carmine, in quanto presunti mandanti degli omicidi dei rivali, Giovanni Galleoni e Francesco Antonini, entrambi uccisi nel 2011 a Ostia (accusa poi decaduta durante l’appello bis).

“Lo hanno scarcerato – spiega a Repubblica la portavoce Comitato dei collaboratori di giustizia, Maricetta Tirrito – perché è stato riconosciuto non pericoloso socialmente. A quanto risulta sembra che abbia goduto di alcune attenuanti, di alcuni permessi e che ci sia un cavillo che riguarda anche la sua situazione sanitaria”.

Il Comitato dei collaboratori di giustizia: “Fatto gravissimo. Un segnale di sconfitta dello Stato”

“È comunque un fatto gravissimo – aggiunge -; un segnale di sconfitta dello stato, è la riacquisizione di potere anche nella percezione del controllo di questa famiglia su Ostia e nonostante il riconoscimento della mafiosità riesce a trovare il cavillo. Siamo stati contrari alla scarcerazione di Riina in punto di morte, figuriamoci alla liberazione di un detenuto appena condannato all’ergastolo appena. Non è giustificabile di fronte a chiunque collabora con la giustizia”.

La scarcerazione di Roberto Spada, in base a quanto si apprende da fonti legali citate dall’Ansa, è legata alla assoluzione decisa dalla Corte d’Assise di Appello di Roma il 19 settembre scorso nell’ambito del procedimento bis per il duplice omicidio dei due esponenti di un clan rivale agli Spada, Galleoni e Antonini.

È ancora al vaglio della Cassazione l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso

I giudici hanno fatto cadere l’accusa di omicidio a carico di Roberto Spada determinando la pena in 10 anni per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Dopo avere scontato la pena per la vicenda della testata al giornalista Piervincenzi, Spada ha potuto ottenere la scarcerazione.

Tuttavia, spiegano le stesse fonti, non è escluso che nei suoi confronti possa arrivare una misura di sorveglianza da parte della Questura di Roma. Resta pendente, invece, l’accusa di associazione per delinquere che finirà al vaglio della Suprema Corte di Cassazione.