Schiaffo al Campidoglio:

di Sergio Patti
Batosta di Acea all’azionista di maggioranza, il Comune di Roma, che detiene il 51% del capitale. Ieri la terza sezione civile del Tribunale delal Capitale ha dichiarato il “non luogo a provvedere” sull’istanza di convocazione anticipata dell’assemblea di Acea richiesta dal Campidoglio, confermando così la data del 5 giugno fissata dal consiglio di amministrazione della società.
Appuntamento il 5 giugno
Nel provvedimento si legge che al Tribunale è attribuito “eccezionalmente un potere surrogatorio che può essere esercitato” nelle “sole ipotesi di inerzia o di rifiuto ingiustificato da parte dall’organo amministrativo o anche dell’organo di controllo successivamente adito”. Dichiarando inammissibile la domanda di anticipazione dell’assemblea richiesta dal sindaco Marino, il Tribunale osserva dunque che “un’eventuale fissazione dell’adunanza oltre il termine di trenta o quaranta giorni, non adeguatamente giustificata, potrebbe configurarsi come grave irregolarità”. Il Tribunale sottolinea che “pur prendendo atto delle ragioni di urgenza esposte da Roma Capitale” non può non essere data rilevanza alla delibera del cda di Acea del 24 marzo scorso che ha fissato l’assemblea al 5 giugno “con all’ordine del giorno anche gli argomenti indicati da Roma Capitale” e questo comporta sia “il non luogo a provvedere” sulla domanda di convocazione dell’assemblea” che l’inammissibilità della domanda di anticipazione dell’assemblea da parte del Comune. Infine il Tribunale spiega che “il possibile rischio di elusione delle ragioni dei soci richiedenti”, in questo caso del Comune, è solo “astrattamente ipotizzazible” nel caso di fissazione dell’assemblea in una data “troppo lontana” e potrebbe essere “ridotto o eliminato” con “l’impugnazione delle delibere del cda”.
Rapporti tesi
La nuova batosta all’azionista rischia di accentuare i rapporti difficili tra l’amministrazione capitolina e gli altri soci forti dell’ex municipalizzata di acqua ed energia. In particolare il rapporto tra il sindaco e il costruttore-editore Franco Caltagirone, che detiene oltre il 16% della società, sta contribuendo a destabilizzare un’azienda che è patrimonio di tutta la città. Come è evidente a tutti – tranne stranamente alla Consob e forse pure alla magistratura – lo scontro (anche attraverso attacchi espliciti sul giornale di famiglia, Il Messaggero) sta mettenso in forte imbarazzo il management e dunque l’operatività della stessa impresa quotata in Borsa. Mentre resta sullo sfondo la volontà popolare di tenere pubblico il controllo dell’acqua (nonostante un preciso referendum) gli azionisti privati con quote di minoranza vogliono contare più del Comune che ha il 51%. Un bel segnale nel caso in cui il Campidoglio dovesse scendere al 30%, come previsto.