Schiaffo al Governo, i rom rimangono a casa nostra

di Giuseppe Cantore

Da oggi in Italia sarà vietato dire emergenza nomadi. La Corte di Cassazione ha dichiarato illegittima l’emergenza nomadi, proclamata dal governo Berlusconi il 21 maggio 2008. Gli sgomberi dei campi Rom non potranno più essere effettuati. Nello specifico la Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato il 15 febbraio 2012 dal Governo Italiano. Il presidente del Consiglio, Mario Monti, aveva richiesto, di rivedere quanto stabilito da Palazzo Spada che aveva messo in discussione il “Piano nomadi” voluto dal Cavaliere e presentato dall’ allora ministro dell’ Interno, Roberto Maroni.
Una delle prime conseguenze riguarda la revisione dei bandi dei Comuni su questa materia e praticamente rivede anche la graduatoria per l’assegnazione delle case popolari.
Graduatoria che sorriderà ai rom. La sentenza è storica e di fatto delegittima le azioni adottate da numerosi comuni italiani per porre rimedio allo stato in cui vivono i Rom, in modo particolare nelle periferie urbane delle grandi città. Il periodo della cosiddetta emergenza aveva scandito la nascita di diversi Piani Nomadi, attraverso i quali, in alcune città italiane, sono state svolte operazioni di sgombero, giudicate da alcune associazioni come discriminatorie e segregative.

Resta il fatto che, anche nella Capitale, dove tra l’altro è stato chiuso il più grande campo Rom d’Europa, la sentenza della Corte Suprema non risolve la questione. Sentenza che se fosse arrivata prima, avrebbe mantenuto Casilino 900, sgomberato il 19 gennaio 2010. Quella sì un’emergenza che rischiava di esplodere da un momento all’altro. All’interno del campo convivevano in uno stato di lite perenne serbi, bosniaci, montenegrini, kosovari e rumeni. Una situazione altamente pericolosa che provocava quotidianamente risse con feriti.
La sentenza uniforma tutti i casi italiani, eppure la situazione nella Capitale possiede le sue specificità.
A Roma l’emergenza consiste nel fatto che rom significa campi sosta. A differenza di altri comuni, la stragrande maggioranza dei rom romani vive nella Capitale da oltre 30 anni.
Qualsiasi giudizio sulla presenza dei nomadi non può che partire da un ragionamento sulle effettive condizioni di degrado all’interno dei campi e degli effetti prodotti da questo stato “di emergenza”, appunto. Nonostante la leggi e i regolamenti comunali, infatti, il numero delle persone questi insediamenti di fortuna, è molto al di sopra della decenza. Oltre tutto la distanza fra modulo abitativo e l’altro, è minima con problemi di ordine idrico e fognario.

L’emergenza esiste eccome nel senso che i residente di questi campi sono separati dal contesto urbano e sociale della città. In questo senso le politiche sociale, non solo della Giunta Alemanno, ma anche nel resto d’Italia, con l’affidamento alla Croce Rossa dei servizi sociali e la creazione di presidi interni ai campi poteva ha consentito alcuni miglioramenti generali. I primi campi nella Capitale sono stati aperti nella metà degli anni ‘80, concepiti per fornire assistenza e servizi a un numero limitato di persone. Con il tempo sono divenuti rifugio per la micro criminalità. Esulta Rifondazione comunista e l’ Associazione 21 luglio, “la chiusura della stagione emergenziale, sancita definitivamente dalla Corte di Cassazione, chiude una delle pagine più buie dei diritti umani delle comunità rom e sinte in Italia.
Non è un caso che nei quartieri sorti a ridosso dei campi rom, l’indice di criminalità sia statisticamente più elevato. Con questa sentenza, di fatto, si mette fine all’emergenza nomadi e alle azioni di sgombero, non indicando però soluzioni. E dire che molti comuni italiani, Roma compresa, avevano adottato politiche di superamento del degrado nei campi.
Ora si ricomincia tutto da capo con una sentenza che potrebbe creare più motivi di lite sociale che soluzioni.