Se non si toglie l’elmetto a Letta resteranno solo Renzi e Calenda. La deriva bellicista scuote il Pd

Enrico Letta mette l’elmetto, ma rischia di perdere pezzi mentre segue il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini.

Se non si toglie l’elmetto a Letta resteranno solo Renzi e Calenda. La deriva bellicista scuote il Pd

Enrico Letta mette l’elmetto, ma rischia di perdere pezzi mentre segue il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Una mossa che, seppure metaforicamente, sta minando quel campo largo che vuole costruire alle prossime elezioni.

La posizione “militarista” di Letta alimenta l’insoddisfazione nel Pd

La posizione “militarista” del leader Pd alimenta infatti l’insoddisfazione nel suo partito generando non pochi malumori pure tra gli (ipotetici) alleati. Non nei 5S, ma anche tra altri interlocutori, come la sinistra radicale che pure il leader dem vorrebbe coinvolgere nell’alleanza. Di questo passo gli restano solo Matteo Renzi e Carlo Calenda.

Un pezzo da novanta, come l’ex capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, ha espresso tutte le proprie perplessità sulla questione. Proprio l’altro giorno, conversando in via informale con alcuni giornalisti a Montecitorio, Delrio si è tappato le orecchie di fronte alle argomentazioni sulla necessità di assecondare una maggiore spesa militare. Ha preferito allontanarsi, pur di non proseguire il confronto che lo vedeva su una posizione lontana dagli interlocutori. E del resto da quella del segretario del Pd.

“Non è con l’aumento delle spese militari dei singoli Stati che si risponde alla guerra”, ha affermato in una recente intervista ad Avvenire. La sua posizione segue quella del Papa. Con Delrio c’è una buona parte dell’area cattolica del Pd che vive con preoccupazione l’escalation militarista del partito. Al momento solo l’ex ministro è davvero uscito allo scoperto, ma qualcuno – a microfoni spenti – spiega: “Si sta agendo sull’onda emotiva su quanto accade in Ucraina (qui tutti gli articoli sulla guerra). Ma sarebbe il caso di ragionare con maggiore freddezza, perché tutta questa spinta sulla spesa militare non viene capita dal nostro elettorato”.

Da qui l’auspicio affinché “Letta riveda certe posizioni”. Pure un altro big, come l’ex deputato Gianni Cuperlo, ha manifestato il proprio scetticismo di fronte al dibattito sulle spese militari. Il senso del suo ragionamento gira intorno a un punto: gli investimenti puntano all’acquisto di nuovi sistemi d’arma o al rafforzamento, per esempio, della cybersicurezza. Questione non solo di quantità delle risorse, ma pure di qualità della spesa. Un’incognita.

È certo, invece, che l’aumento di almeno 13 miliardi di euro (leggi l’articolo) è da sempre caldeggiato dal ministro Lorenzo Guerini. Non ha mai nascosto di avere come obiettivo del suo mandato il raggiungimento, o quantomeno un sensibile avvicinamento, della spesa al 2 per cento del Pil. Salvo poi aprire ad un percorso graduale fino al 2028.

Una delle conseguenze della strategia lettiana è l’allontanamento da Giuseppe Conte. Ma anche altri interlocutori assistono con preoccupazione all’evoluzione del confronto. A Montecitorio, la componente di Europa Verde si è espressa in maniera critica sull’aumento delle spese militari. Stesso discorso per Sinistra italiana, che con il suo segretario Nicola Fratoianni si sta battendo per evitare che lo Stato investa ulteriormente sulle armi.

Tanto da polemizzare direttamente con un parlamentare dem: “Per il senatore Alfieri del Pd non serve dire spese militari no o spese militari si, e che dobbiamo uscire da un dibattito ideologico Ebbene non ci sono parole più intrise di ideologia di quelle del senatore e capocorrente del Pd Alfieri sulle spese militari”, ha dichiarato il leader di Si. Il campo largo rischia di finire in macerie.