“Quella della trattativa è una sentenza pasticciata, che non c’entra nulla con lo stato di diritto”. Non si può dire che Piero Sansonetti non sia un giornalista che lascia discutere. Mentre per tanti la sentenza emessa dalla corte d’Assise di Palermo regala una verità giudiziaria su uno dei periodi più insanguinati della storia d’Italia, il direttore de Il Dubbio esprime un parere che va, evidentemente, in tutt’altra direzione.
Addirittura?
Guardi, questa è una sentenza la cui lettura è molto semplice.
In che senso?
Abbiamo l’assoluzione per un capo della mafia (Giovanni Brusca, ndr) e una condanna per uno dei grandi combattenti contro la mafia, Mario Mori, colui che ha catturato Riina. È una sentenza che col diritto non ha nulla a che fare.
Però scusi: Leoluca Bagarella è stato condannato a 28 anni quando la Procura aveva chiesto 16 anni. Non si può dire che i giudici siano stati clementi con i boss mafiosi…
Sì, ma è una condanna ininfluente. Bagarella è già all’ergastolo, non cambia nulla. La cosa che invece lascia sgomenti è che Brusca sia stato assolto. Per prescrizione, certo, ma comunque assolto.
Quindi secondo lei quella emessa ieri a Palermo è una sentenza politica?
Più che altro pasticciata. Le dirò di più: una sentenza politica fino a un certo punto.
Cioè?
Precisando che ovviamente dobbiamo aspettare le motivazioni, dalla sentenza emerge che Brusca ha minacciato il Governo chiedendo che fosse levato il 41-bis attraverso Marcello Dell’Utri, e Silvio Berlusconi avrebbe resistito eroicamente siccome poi il carcere duro non è stato eliminato. Quindi abbiamo, secondo questa sentenza, un Berlusconi eroe anti-mafioso e Brusca che sarebbe autore del delitto assolto. Mentre Mori, che ha arrestato Riina, condannato a 12 anni.
Secondo la lettura dell’accusa e non solo, però, l’arresto di Riina in qualche modo faceva parte del gioco delle parti dopo l’accordo tra Stato e mafia.
Sì, qualcuno potrebbe anche dirlo. Oramai si può dire di tutto. Il punto è che i processi sono così: lo stato di diritto non c’è più. Siamo in una situazione gravissima, siamo alla demolizione dello stato di diritto. Questo non è un clima di un Paese liberale, democratico e basato sul diritto.
Addirittura?
Prove in questo processo non ci sono. Poi in Appello sarà smontata totalmente, tutti lo sanno. Non c’è nessuna possibilità che questa sentenza regga all’Appello e alla Cassazione. Ma intanto un risultato è stato raggiunto.
Quale?
È una sentenza che manda a morte Dell’Utri. È una sentenza di morte per lui. Se non fosse per questo, ci sarebbe da ridere. Purtroppo c’è da piangere. Volevano la pelle di Dell’Utri e l’hanno avuta. Parliamoci chiaro: questa è una sentenza che non ha nulla a che fare coi processi, con le prove, col diritto.
Il processo, però, è durato a lungo, cinque anni…
Sì, ma di prove nemmeno l’ombra. È una sentenza che assomiglia a quella del tribunale speciale degli anni ’30. Non ricordo che regime ci fosse in quegli anni, però gli assomiglia molto…
Un’ultima domanda sulla conseguenze politiche. Ora cosa succederà? Il Movimento cinque stelle, com’è giusto che sia, sta cavalcando quanto emerso dalla sentenza.
Certamente è una sentenza che aiuta molto i Cinque stelle dal punto di vista elettorale, considerando che siamo alla vigilia delle elezioni in Molise (si vota domani, ndr). Ma non c’è nemmeno da sorprendersi: il pubblico ministero (Nino Di Matteo, ndr) è dichiaratamente dei Cinque stelle. Che fosse un processo politico, è testimoniato anche da questo.