Prima la Gdf glieli ha restituiti, ma pochi secondi dopo, glieli ha risequestrati. I tre fratelli Pellini, Giovanni, Cuono e Salvatore, imprenditori di Acerra assai noti alle cronache giudiziarie, non hanno fatto neanche in tempo ad assaporare il piacere di essere tornati in possesso grazie agli incredibili ritardi del Tribunale di Napoli dei 200 milioni di beni sequestrati nel lontano 2017.
Il tesoro dei tre fratelli Pellini
Dopo pochi secondi, infatti, gli stessi finanziari hanno ri-apposto i sigilli a 8 società, 72 autoveicoli, 75 rapporti finanziari, 224 immobili, 75 terreni, 3 imbarcazioni e 2 elicotteri, per un valore complessivo stimato di 201.476.743 euro. Tutti beni frutto del business dell’illecito smaltimento dei rifiuti, tanto che i tre erano stati condannati in via definitiva per disastro doloso continuato. Per gli inquirenti sono tra i maggiori responsabili del disastro ambientale della Terra dei Fuochi.
Il primo sequestro sette anni fa
Sette anni fa le indagini del Gico di Napoli avevano anche accertato la sproporzione fra i beni individuati e le disponibilità ufficiali degli imprenditori e dimostrato che gran parte di quei beni erano il frutto di attività illecite e del reimpiego di quei proventi. Così era scattato il sequestro, ma il 29 aprile scorso la Corte di Cassazione lo aveva annullato per una notifica arrivata fuori tempo massimo.
Riconosciuta la pericolosità dei Pellini
Così ieri la Dda di Napoli ha chiesto che scattasse il nuovo sequestro. Nel provvedimento – emesso dal tribunale di Napoli su richiesta del procuratore Nicola Gratteri e del coordinatore della Dda Rosa Volpe – il giudice sottolinea non solo la pericolosità sociale degli imprenditori dei Pellini, ma anche la loro “concreta e grave capacità criminale”. I Pellini, spiega il giudice, “hanno avviato le loro attività e hanno prosperato in un settore imprenditoriale tradizionalmente riservato alla criminalità organizzata, prescindendo da essa” e “agendo in concorrenza”, “operando in maniera assai spregiudicata, certamente avvantaggiati anche dal ruolo istituzionale ricoperto da uno di essi che, sebbene esponente delle forze dell’ordine (Salvatore, carabiniere), risulta essere uno degli organizzatori dell’associazione tesa al traffico di rifiuti che si avvaleva per i suoi scopi dell’attività imprenditoriale dei fratelli”.
L’ex ministro Costa: “Siano usati per le bonifiche”
“Ottima notizia il nuovo sequestro dei beni ritornati in possesso dei fratelli Pellini dopo gli ingiustificati ritardi del Tribunale di Napoli. I 200 milioni e gli altri beni adesso vengano immediatamente utilizzati per la bonifica della Terra dei fuochi che i fratelli hanno avvelenato, come dimostra la sentenza di condanna passata in giudicato. Qualche mese fa il ritorno dei beni alla famiglia a causa di distrazioni e ritardi che non si ripetano mai più”. Così il vicepresidente della Camera ed ex ministro dell’Ambiente, l’M5S Sergio Costa.
Il blitz contro il clan della municipalizzata napoletana Sapna
Ma ieri anche i Carabinieri del Noe hanno fatto la loro parte nella difesa dell’ambiente. Coordinati dalla Dda di Napoli, hanno sgominato un’associazione a delinquere – 12 le persone arrestate – che avrebbe smaltito illecitamente oltre mille tonnellate di rifiuti speciali provenienti da aziende private. Un business possibile grazie anche agli accordi corruttivi stipulati con dipendenti pubblici della Sapna (società della città metropolitana di Napoli che gestisce il ciclo integrato dei rifiuti solidi urbani).
Secondo il Noe, infatti, “conferivano e facevano sparire quella tipologia di materiale in un impianto pubblico, lo stir di Tufino, nel Napoletano”, dove quello scarto neppure si doveva avvicinare. Un’organizzazione complessa, quella scoperta: c’era chi teneva i contatti con gli imprenditori interessati all’affare; c’erano i dipendenti della Sapna, che in cambio di mazzette, facevano passare e trattavano i carichi. C’era anche chi faceva in modo che l’accesso degli autocompattatori, senza geo localizzazione, non lasciasse traccia e anche chi sapeva e non parlava. Alcuni indagati, inoltre, sono accusati di aver rubato dall’impianto costose bobine di ferro, del valore di 20mila euro ciascuna.