Calcio all’ultimo stadio. Parla l’ex prefetto Achille Serra: “Basta buonismo, servono pene certe”. E sul derby di Roma 2004: “Fu Galliani a bloccare la partita”

di Antonello Di Lella

Daspo a vita e tessera del tifoso «sono utili ma non risolvono di certo il problema del tifo violento». Le parole dell’ex prefetto di Roma, Achille Serra, giungono nello stesso giorno in cui il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, studia la possibilità di introdurre il Daspo a vita e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, annuncia per l’estate provvedimenti ad hoc per stoppare la violenza negli stadi. Un consiglio quello di Serra all’esecutivo che arriva da chi ha avuto il suo ben da fare con frange violente del tifo organizzato. Dal famoso derby Roma-Lazio del 2004 rinviato (e ritornato agli onori della cronaca per il coinvolgimento in quei fatti di Daniele De Santis, “Gastone”, il principale indiziato degli spari ai tifosi del Napoli nella finale di Coppa Italia, ndr) agli scontri tra la polizia e i tifosi inglesi prima della partita di Champions League, nel 2007, tra i giallorossi e il Manchester United.

Ma per quale motivo in Italia è così difficile placare gli scontri?
«Vi è un’insofferenza crescente che porta alla violenza. Ci sono motivazioni di carattere sociologico dovute anche alla mancanza di lavoro».

Quale la soluzione?
«Occorre una riforma globale della giustizia. Che può essere messa in atto soltanto con una buona dose di coraggio della classe politica. Immediatezza del processo per i violenti e certezza della pena sono le due condizioni essenziali da cui partire. Fondamentale, poi, è l’ampliamento delle carceri».

Ma per quale motivo gli ultras in Italia pesano così tanto?
«Manca nella maniera più assoluta la sensazione della pena da pagare. Se non sei certo che vai in galera e poi ci stai davvero risulta più facile mettere in atto comportamenti violenti».

E in riferimento all’ultimo episodio dell’Olimpico, ritiene giusto il confronto con i tifosi?
«Sono a favore del dialogo con i tifosi, non con i violenti. Per quanto riguarda gli episodi di Roma sono certo che ci sia stato un dialogo per placare gli animi. Occorrerebbe stare lì in quei momenti, troppo facile giudicare il giorno dopo. Mi fido del grande questore che Roma ha. E in questi casi le critiche piovono a prescindere».

Non crede che anche le società siano responsabili di non riuscire a isolare le frange violente del tifo?
«Troppo facile cercare le responsabilità sugli anelli più deboli. Che siano le società o le forze dell’ordine. In queste occasioni spesso si dà addosso ai poliziotti. Ma invece le cause principali sono da ricercarsi nella totale assenza di certezza di giustizia».

Crede sia davvero questa la chiave giusta?
«Assolutamente sì. Processi immediati e pene certe».

Intanto, però, si continua a parlare di Daspo.
«Ben vengano queste misure, ma come le ho detto in questa maniera il problema non si risolve certamente in modo definitivo».

Quale sarebbe la giusta pena per Genny la carogna finito agli onori della cronaca dopo gli spiacevoli episodi di sabato sera?
«Non occorrerebbe una pena esemplare, tanto per dare una dimostrazione. Ma una sentenza giusta che però dia il senso che chi sbaglia paga e che quindi lo stadio non può essere un territorio franco».

A proposito, lei era prefetto di Roma ai tempi del derby di Roma rinviato dopo aver ascoltato alcuni ultras di fede giallorossa, che secondo alcuni organi d’informazione, come riportato anche in questi giorni, imposero la decisione.
«Non ci fu nessuna imposizione da parte di quei tre tifosi. Ma fu una telefonata di Adriano Galliani (all’epoca presidente della Lega Calcio) all’arbitro della partita Rosetti a decretare il rinvio della partita. Quei tre, poi, vennero fermati e il martedì mattina successivo, praticamente due giorni dopo l’accaduto, vennero messi fuori. Questo provoca un sentimento di impunità che si è diffuso sempre più».