Serve un nuovo patto di Governo. Franceschini corre ai ripari. Il ministro dem prova a rinsaldare l’asse giallorosso. Manovra e Regionali i due ostacoli da superare

Fiuta aria di crisi, Dario Franceschini, e suona l’allarme. Da buon democristiano tenta di salvare il salvabile: “Fermiamoci prima che sia troppo tardi”, ammette il ministro in un’intervista al Corriere della Sera, partendo dalla convinzione che qualcosa all’interno dell’esecutivo non funzioni e che la colpa non sia del Partito Democratico. Perché “senza un metodo condiviso e senza una prospettiva comune non c’è futuro”. Fa dunque un appello alla buona volontà degli alleati, Movimento 5 Stelle e Italia Viva, perché non è possibile – afferma – che ogni forza politica sia interessata solamente al “proprio orticello”.

Un appello che si snoda lungo due direzioni: da una parte, e qui il riferimento è soprattutto a Italia Viva e alle stoccate quotidiane di Matteo Renzi, attraverso “un patto di metodo” che riguarda la legge di Stabilità , le cui modifiche – si auspica – andranno preventivamente concordate nella maggioranza. “Senza furbizie e in modo collegiale – avverte -, abbandonando l’idea di voler sconfiggere il partner di governo. Perché i risultati sono un successo di tutti, e i problemi di tutti”. Del resto la Finanziaria è sempre un appuntamento insidioso anche quando le maggioranze sono omogenee e sono il frutto di una vittoria elettorale.

Dall’altra parte – e qui il riferimento è palesemente ai 5Stelle – il capo delegazione dem a Palazzo Chigi non si spiega come per le imminenti elezioni regionali siano stati esclusi gli accordi tra il Movimento e il Pd. “Capisco la necessità di non imporli, non capisco perché vietarli e basta”, e paventa la necessità di un “secondo patto” per lasciare ai territori la possibilità di valutare se ci sono le condizioni per evitare di essere gli uni contro gli altri. è evidente che dalle parti del Nazareno la preoccupazione di perdere la Regione simbolo del potere rosso – l’Emilia Romagna – si faccia ogni giorno più consistente, un incubo non solo per la tenuta della maggioranza ma per la stessa tenuta interna del Pd. E Nicola Zingaretti mastica amaro, proprio lui che era il più restio alla nascita di un Conte bis si trova ogni giorno costretto a difenderlo dal fuoco amico, con la spada di Damocle di elezioni anticipate che arriverebbero nel momento peggiore per l’attuale esecutivo e di maggior fulgore per una destra tonica e ricompattata.

Un governo che avrebbe dovuto rappresentare l’inizio della crisi del salvinismo ne sta invece rinvigorendo la portata, con il leader della Lega che non può che rafforzarsi da una “cottura a fuoco lento” degli avversari politici. Come esamina Franceschini, un’esperienza iniziata per evitare che Matteo Salvini assumesse i ‘pieni poteri’ ha rappresentato un elemento sufficiente a far partire il governo, ma per farlo durare “serve altro”. E a questo punto, o le varie anime che compongono il governo giallorosso marciano in un’unica direzione o davvero lo showdown potrebbe essere imminente. Con il caso dell’Ilva di Taranto che certo non aiuta, al di là della diatriba sullo scudo penale, gli indiani di ArcelorMittal ritengono che gli attuali livelli di produzione non riescano a remunerare gli investimenti e chiede 5.000 esuberi: un dramma sociale inaccettabile per qualsiasi esecutivo.